Non musica confessionale, solo «grande» musica
16 ottobre 2015
L’Unesco e la «Messa in si minore» di Johann Sebastian Bach
Due piccioni con una fava? La decisione della Commissione dell’Unesco di inserire alcuni scritti di Martin Lutero e la Messa cattolica in Si minore di Johann Sebastian Bach nella lista Memory of the World, come riportato in un articolo del Corriere della Sera del 10 ottobre scorso non può che rallegrare l’ecumene mondiale protestante. In effetti di Lutero, tra altro, la scelta è caduta sulle celebri 95 tesi, la cui affissione pubblica nel 1517 determinò l’inizio di quel processo religioso e culturale che conosciamo sotto il nome di Riforma. Quindi, tra meno di due anni avremo il fatidico mezzo millennio da celebrare e ben venga dunque una sorta di riconoscimento a livello planetario del valore di questo scritto polemico che in realtà, al momento della sua redazione e affissione pubblica, voleva solo richiamare l’attenzione su alcuni abusi della chiesa di Roma. Quanto alla musica di Bach non sarà stato facile scegliere entro un catalogo sterminato di cantate sacre e secolari, concerti strumentali, sonate, preludi, fughe etc. e la preferenza della Commissione si è accentrata sulla Messa in Si minore BWV 232.
A proposito di questa monumentale composizione qualche musicologo intravide in essa una specie di desiderio di «conversione» di Bach al cattolicesimo... come del resto sempre da parte degli stessi musicologi fu rilevato anche nei riguardi della produzione musicale sacra del periodo giovanile italiano di Händel... in questo caso addirittura un Salve Regina! Per amore di verità dovremo subito informare i nostri allarmati lettori che Bach di Messe in latino ne aveva composte ben altre quattro e tutte per il servizio musicale luterano... Pensare a un ripensamento confessionale di Bach che si rispecchi pienamente nella stesura della Messa in Si minore è una forzatura inutile, pretestuosa e alla fine inconcludente.
Sappiamo che la genesi e la gestazione di questa partitura fu assai lunga e complessa; in essa confluirono infatti non solo delle parti musicali che possiamo definire «originali» ma, e sono la maggioranza, anche brani preesistenti che vennero rielaborati e adattati al momento; ad esempio pare che il «Sanctus» fosse stato eseguito già nel Natale del 1724 a Lipsia. Un lavoro dunque che potremmo definire di «rifusione» musicale, come giustamente si espresse argutamente il compianto Gianni Long nel suo libro Johann Sebastian Bach il musicista teologo (Claudiana, 1985). Si deve anche rilevare che i testi latini dell’ordinario della Messa non contengono nulla di anti-evangelico, per cui non si evidenzia in Bach una sorta di contaminazione della sua incrollabile fede luterana.
È pensiero comune che la Messa «cantata» sia un genere musicale appartenente alla Chiesa cattolica e che quindi le Messe bachiane possano costituire una specie di anomalia nella produzione del grande musicista. Il duca di Sassonia (cui Bach dedicò la partitura della Messa in Si minore per potersi fregiare del titolo di compositore di quella corte e non per chissà quale altra motivazione) era anche re di Polonia e per questo motivo dovette abbracciare il cattolicesimo anche se i suoi sudditi erano in prevalenza luterani. La coesistenza delle due confessioni cristiane a Dresda aveva di conseguenza portato alla costituzione di due cappelle di corte, una cattolica e l’altra luterana. È possibile allora che le Messe bachiane abbiano avuto la duplice destinazione — luterana e cattolica — proprio per queste ragioni particolari. Inoltre al tempo di Bach a Lipsia in occasione delle tre feste principali (Natale, Pasqua, Pentecoste), era prassi comune eseguire il «Kyrie», il «Gloria» e il «Sanctus»: brani che pure in ambito luterano erano designati complessivamente con la parola Missa.
Certo che, se sappiamo che la prima parte della partitura della Messa in Si minore fu dedicata al Duca di Sassonia, dobbiamo arrivare a trarre conclusioni prive di fondamento, suona veramente scorretto, come in effetti lo è, l’aggettivo «cattolica» attribuito nel corso dell’articolo del Corriere a questa Messa, aggettivo che non appare mai in nessuna fonte manoscritta dell’epoca. Del resto poi non ci è dato di sapere se questa gigantesca opera musicale sia stata effettivamente eseguita a Dresda nel corso di una funzione religiosa (cosa abbastanza improbabile, considerata la sua inusuale lunghezza) anche se nella SLUB, la biblioteca universitaria del Land di Sassonia, è conservata copia delle parti staccate.
Concluderei riportando a questo proposito quanto scrive Alberto Basso: «La materia, come si vede, offre spunti e argomentazioni per sostenere tanto la tesi “cattolica” quanto la tesi “luterana” e consente anche di intendere l’opera in termini di ambivalenza. La sua natura cattolica emergerà quando si vorrà considerarla nei termini di un corpo unitario, elaborato lungo un ampio intervallo di tempo, svincolato dalla realtà storica e quasi isolato in un mondo astratto e ideale anche se agganciato alla tradizione della Missa concertata. Al contrario essa apparirà come una manifestazione del pensiero musicale luterano quando la si interpreterà a segmenti separati, ciascuno dei quali destinato non a coprire un unico servizio liturgico (come è il caso di una Missa tota), bensì a soddisfare esigenze specifiche delle grandi festività in cui era consentito praticare la polifonia applicata ai testi latini dell’Ordinarium». Parole di una chiarezza illuminante, che danno il senso universale (quindi cattolico) a una musica che l’Unesco giustamente ha definito «pietra miliare della storia della musica».