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A Brescia è polemica per il numero di stranieri in classe

La pastora Zell «Crescere i propri figli in una monocultura non è possibile: chi vuole farlo si illude»

Con l'inizio del nuovo anno scolastico, la scuola elementare Manzoni di Brescia ha visto le sue due prime classi composte esclusivamente da bambini stranieri. Che ciò sia dovuto alla grande presenza multiculturale in città o al fatto che le mamme italiane non iscrivano più i figli in quella scuola proprio per questo motivo (come è stato detto nelle scorse settimane), il problema di una reale integrazione resta. Alcuni hanno ipotizzato un possibile aggravio per le insegnati nel lavorare solo con bambini stranieri, soprattutto per questioni di lingua, ma su 35 bambini su due sezioni, solo 4 sono nati fuori dall'Italia. L'aspetto più grave, oltre alle polemiche della politica nazionale, è stato la presenza di uno striscione contro la “Brescia multirazziale” esposto davanti alla scuola da un movimento studentesco di estrema destra. Questo gesto ha fatto indignare molti cittadini e la chiesa valdese della città, che si trova a pochi metri dalla Manzoni con il proprio luogo di culto. Ne abbiamo parlato con la pastora di Brescia Anne Zell.

Come giudica la situazione che si è venuta a creare in città?

«La chiesa valdese di Brescia si trova proprio accanto a questa scuola elementare e conosce la situazione. È un quartiere con tantissime famiglie da tutto il mondo, dunque le classi hanno una forte presenza di bambini cosiddetti stranieri: sottolineo, infatti, che pochissimi sono nati all'estero. La stragrande maggioranza sono nati in Italia, hanno già frequentato la scuola materna, per cui si tratta di polemiche montate dai partiti xenofobi e non stanno in piedi. Altre voci hanno detto che la presenza di bambini stranieri è il motivo per cui alcune famiglie non mandano i propri figli alla Manzoni. Io vedo, con mia figlia che va nell'istituto Calini, scuola gemella nello stesso distretto, che fanno un lavoro eccellente. La fatica è tanta, ma restano delle scuole esemplari: l'opposto di quello che si è detto quando si parla, con maggiore coscienza di causa, del problema di integrazione. Mi dispiace per le famiglie che vogliono crescere i figli in una monocultura, perché non ci riusciranno. Chi manda i bambini in una scuola privata, con pochissimi bambini stranieri si illude: la realtà della città è un'altra».

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La pastora Anne Zell. Foto Pietro Romeo/Riforma

Sembra che alcune insegnanti abbiano espresso difficoltà oggettive per i numeri alti di bambini non italiani.

«Il problema oggettivo va affrontato in modo oggettivo. Una settimana fa è stato annunciato che ci saranno degli insegnanti in più a Brescia, perciò si spera che avendo puntato i riflettori su questa realtà ci saranno più forze per affrontare la questione. Nella Calini vediamo che mancano degli insegnanti per fare gruppi di lavoro, alcuni laboratori, dunque è un problema reale, ma non giustifica le polemiche».

Questa esperienza scolastica come racconta la realtà multietnica della città?

«In parte è la quotidianità della città; spesso però l'impressione si vuol dare l'idea di una città trascurata, dove la multiculturalità non è gestita. La mia impressione non è questa. Sicuramente c'è una sfida in più, ma ultimamente ci sono tanti tentativi di vivere la presenza di persone da tutto il mondo come una ricchezza. Vedo, ed è preoccupante, che negli ultimi mesi le paure da parte delle persone vengono strumentalizzate».

E in chiesa?

«Guardando all'interculturalità la nostra comunità è ovviamente un luogo privilegiato, abbiamo già una cosa in comune: la fede. Ma anche una tradizione religiosa e questo sicuramente aiuta. Certo, serve anche un atteggiamento di dialogo, di accoglienza che cerca di comprendere le storie diverse, le provenienze, ma questa è una sfida importante che può arricchire tutti».  

Foto copertina "Brescia city skyline from the city castle2" di Fredericks - Opera propria (Testo originale: Self.made photo). Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.

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