Praticare la giustizia
22 settembre 2015
Un giorno una parola – commento a Isaia 58, 7
Conduci a casa tua gli infelici privi di riparo!
(Isaia 58, 7)
Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui ammalato e mi visitaste
(Matteo 25, 35-36)
C’è un filo conduttore che lega il messaggio biblico sin dalle pagine del Pentateuco dove più volte e in diversi modi è ripetuto il pensiero espresso in Esodo 22, 21-22: «Non maltratterai lo straniero… Non affliggerete la vedova né l’orfano». L’esortazione, anzi, l’ordine è ripreso nei Salmi e ricorre nei profeti, soprattutto in Isaia e in Amos – dove si insiste sul dovere di praticare la giustizia.
Gesù allarga lo sguardo su altre categorie di persone infelici. Affamati e assetati, nudi e malati, carcerati e stranieri - nel racconto di Matteo 25 - sono coloro che dobbiamo accogliere, se non vogliamo essere condannati il giorno in cui ci troveremo di fronte al Signore.
Il capitolo del profeta Isaia da cui è tratta la frase da cui partiamo, critica aspramente le pratiche religiose vissute con ipocrisia come se fossero gradite a Dio. Il digiuno che Dio gradisce è dividere il pane con gli affamati: posso ben rinunciare a qualcosa di «mio» a favore di chi non ha nulla. Ed è anche combattere contro le ingiustizie, le oppressioni, i gioghi, le catene, e non nascondersi a chi è carne della nostra carne (Isaia 58, 6-7).
È un invito alla chiesa di oggi a non girare la testa dall’altra parte di fronte alle disgrazie dell’umanità, quasi sempre causate dall’indifferenza, dall’egoismo, dall’avidità, dal disprezzo verso i nostri simili. È un invito all’azione individuale, da persona a persona, da famiglia a famiglia, ma anche all’impegno sociale e politico per cercare di risanare il sistema marcio alla base della nostra società.
«Conduci a casa tua gli infelici privi di riparo!» scriveva Isaia 25 secoli fa. Sembrano parole indirizzate a noi oggi. A centinaia di migliaia stanno giungendo sulle coste e ai confini dell’Europa fuggiaschi e profughi, impauriti ed affamati con storie inenarrabili alle loro spalle. Infelici, privi di riparo, affamati e senza un tetto. Conduciamoli nelle nostre case, accogliamoli nelle nostre chiese, non nascondiamoci a chi è carne della nostra carne.