Ricostruire la casa di Dio
02 settembre 2015
Un giorno una parola – commento a Esdra 3, 11
Tutto il popolo gridando di gioia, lodava il Signore, perché si erano poste le fondamenta della casa del Signore
(Esdra 3, 11)
Ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo
(Atti degli apostoli 2, 46-47)
L’antecedente del nostro testo è l’analisi impietosa del presente degli esiliati che erano ritornati a Gerusalemme dopo l’editto di Ciro, fatto da Neemia (2, 17), dove emergeva questa drammatica constatazione: «la nostra misera condizione»... A cosa era dovuta questa miseria della condizione dei Giudei che erano «ritornati dall’esilio» pieni di buone speranze?
Il mito del ritorno (il secondo Esodo) era scandito da immagini di gioia, di fertilità e di ricchezza. Ma anziché gioia, fertilità e ricchezza, quelli che ritornano dalla Persia imperiale si ritrovarono cacciati nel «terzo mondo» di allora. Come si era arrivati a quella situazione? Molto semplice, quelli che erano arrivati si erano occupati e preoccupati semplicemente di ricostruire le loro case e di entrare in possesso delle loro proprietà. Ma nessuno aveva pensato a ricostruire le mura della città, le infrastrutture pubbliche, il tempio. Così la città era in mano ai predoni, all’anarchia, alla disorganizzazione. Questo aveva portato a una situazione di grande miseria (perché seminare e raccogliere se poi verranno i predoni a rubare tutto?), a una condizione di vita insopportabile. Quando la situazione era più disperata, giunse il messaggio di Esdra e di Neemia che rilanciava con entusiasmo il messaggio chiave: «ricostruiamo le mura della città, e le fondamenta del tempio, liberiamoci da questa condizione umiliante!». Quando le fondamenta della casa di Dio furono poste allora il popolo in festa vide il futuro, si rese visibile la fede di un popolo e questo fece rinascere la speranza.