Vivere la fede «per strada»
27 agosto 2015
A colloquio con Claudia Lupi, pastora delle chiese metodiste di Sheffield, Yorkshire (Inghilterra)
A margine del Sinodo valdese in corso a Torre Pellice abbiamo incontrato la pastora valdese Claudia Lupi. Formatasi presso la facoltà valdese di teologia a Roma, consacrata poi in Inghilterra, la pastora ha svolto il suo ministero prima a Londra per nove anni, mentre da quattro conduce tre comunità metodiste a Sheffield, nello Yorkshire (Inghilterra). Le abbiamo rivolto alcune domande.
Il Circuito di Sheffield, composto da 80 chiese e 25 ministri/e, ha dato la possibilità ai pastori e alle pastore di poter dedicare il 25% del proprio lavoro in un ambito che in qualche modo risponde più precisamente alla propria vocazione. Ce ne vuol parlare?
«A partire da questa opportunità, ho dedicato un anno di lavoro con i senza fissa dimora, in collaborazione con l’Esercito della Salvezza, mentre l’anno successivo ho lavorato con le prostitute attraverso “Chocolate Box”. Si tratta di una casa molto bella, donata alla società anglicana “Church Army”, che accoglie donne con problemi: nella maggioranza dei casi sono prostitute, ma vengono ospitate anche donne straniere e donne maltrattate dai mariti. In questo luogo accogliente le donne possono riposarsi, fare un bagno, mangiare, confidarsi. È una casa per sole donne, dove viene fatto un lavoro ecumenico insieme ad alcune evangeliste anglicane. Un altro lavoro che svolgo insieme alle donne della Church Army è girare di sera con una macchina, che anche la polizia conosce, per i brutti quartieri di Sheffield, dando alle donne che incontriamo qualcosa da mangiare, da bere, anche degli ombrelli se piove, e essendo sempre disponibili alla preghiera, all’ascolto, a sostenerle in maniera concreta».
Come viene accolta la vostra presenza in strada?
«Molto bene. Le donne ci conoscono ormai e ci individuano facilmente, in quanto giriamo per le strade indossando una maglia con il logo di “Church Army”. Forniamo loro anche un bigliettino con alcuni numeri telefonici – polizia, assistenza medica – utili per quante volessero uscire dal mondo della prostituzione».
Quali donne incontrate?
«Sono tutte donne inglesi di Sheffield. La maggior parte di loro ha subito violenze nell’infanzia e molte purtroppo sono tossicodipendenti: ragazze pelle e ossa alla ricerca di qualcosa che le aiuti a sopravvivere».
Tra poco frequenterà un corso di formazione per “street pastor” (pastore di strada). Di cosa si tratta?
«Il corso per street pastor dura circa un anno: in una prima fase del corso si è “osservatore”, per poi diventare “street pastor”, quella figura che riceve gli strumenti per meglio incontrare e rispondere ai bisogni umani che si possono incontrare di notte in strada. Il lavoro, che avviene a livello ecumenico, si svolge in team almeno una notte al mese».
Che ricaduta ha avuto finora il lavoro di strada sul suo percorso di fede e sul ministerio?
«Sono stata sempre alla ricerca dell’azione sociale. Da adolescente presso il centro evangelico di Monteforte Irpino (Avellino) ho avuto modo di incontrare alcuni ergastolani in permesso speciale. I miei genitori, entrambi pastori valdesi, erano molto felici che io facessi queste esperienze che mi hanno molto aiutato a coltivare quest’aspetto. Personalmente non riesco a vedere la mia fede senza l’azione sociale, ho proprio l’esigenza di vivere una parte del mio tempo e della mia vocazione nel sociale. Ricordo che già nell’ultimo capitolo della mia tesi sulla pastorale giovanile avevo sottolineato l’importanza dell’azione sociale anche per coinvolgere i giovani che hanno bisogno di vivere concretamente la fede. Il lavoro sociale è un modo eccezionale attraverso cui comunicare l’amore di Dio verso gli altri non solo attraverso la Parola ma anche attraverso l’azione, approccio che è specifico della tradizione metodista».