A Torino il locale di culto valdese diventerà un centro di utilità sociale
20 luglio 2015
La testimonianza evangelica in azione verso giovani e migranti con un nuovo servizio in Barriera di Milano, uno dei quartieri più problematici della città
La porta rimane chiusa, nonostante i numerosi tentativi: impossibile entrare nei locali della chiesa evangelica valdese di via Nomaglio. Un cattivo presagio? No, piuttosto il segno di quello che dovrà essere il nuovo «Spazio Nomaglio»: non concentrato su se stesso, ma proiettato verso l’esterno, immerso in quel quartiere, barriera di Milano, che evoca scenari problematici; in quella folla multicolore e multilingue che ci passa davanti mentre dialoghiamo seduti nel dehor di un bar.
Siamo in otto: Massimo Long, diacono nella Chiesa valdese di Torino; Silvia Torresin, psicologa e psicoterapeuta, responsabile del progetto; Berthin Nzonza, mediatore culturale nella Chiesa valdese di Torino e presidente dell’associazione «Mosaico», e alcuni giovani della stessa chiesa.
Ci troviamo in un quartiere di migrazioni stratificate, che hanno dato origine a una realtà viva, ricca di contraddizioni, con un alto tasso di immigrazione e di disoccupazione.
Negli anni Cinquanta e Sessanta gli immigrati arrivavano dal sud Italia, oggi arrivano dal sud del mondo: ieri come oggi la chiesa valdese si è attivata per creare uno spazio di testimonianza e di accoglienza.
In quello che fino a pochi anni fa era il quarto locale di culto valdese di Torino, aperto proprio per rispondere all’aumento della popolazione valdese negli anni del boom economico, sta per nascere un nuovo luogo di incontro, un polo per attività molteplici, grazie a un progetto elaborato in cooperazione fra la Chiesa valdese di Torino e la Csd-Diaconia valdese.
Al termine dei lavori di ristrutturazione si avrà un grande spazio multifunzionale con pareti mobili e un ufficio con angolo cucina, e in settembre il centro aprirà ufficialmente, ospitando sia iniziative che già si svolgono nel quartiere, sia nuove attività.
L’idea infatti, spiega Silvia Torresin, è far rivivere questi locali come spazio aperto alla cittadinanza, sensibilizzando gli abitanti su questo tema, per rispondere a un effettivo bisogno di luoghi e occasioni di incontro affiancandosi ad altre iniziative come quella dei Bagni pubblici di via Agliè, una delle nove Case del quartiere della città.
Via Nomaglio diventerà anche il luogo di presenza e visibilità della Diaconia valdese a Torino, in quanto in questi locali confluiranno i progetti che rientrano nel programma Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Oltre a Silvia Torresin, probabilmente opereranno anche volontari del servizio civile e del servizio volontario europeo, per cui è stato già chiesto l’accreditamento, gruppi e associazioni.
Ma siamo ancora nella fase di libera progettazione, spiega Silvia, e a tale scopo sono stati coinvolti i ragazzi della Chiesa valdese di Torino, in particolare il gruppo giovani di corso Oddone (uno dei tre luoghi di culto attivi nella città), per condividere l’esperienza da loro maturata realizzando attività quali doposcuola e aula studio.
Discutendo sui punti di forza e di debolezza delle iniziative organizzate, ad esempio la necessità di rivolgersi agli studenti delle scuole medie e superiori, in quanto per i bambini delle elementari sono già presenti molti servizi, si riflette su quali attività proporre, su come «agganciare» i giovani, sfruttando passaparola e canali informali, coinvolgendo biblioteche, scuole e insegnanti. Il coinvolgimento di questi ultimi sarà fondamentale, per fare da tramite con i ragazzi, suscitando la loro curiosità e contribuendo con proprie idee e proposte. Su questo fronte Silvia sta già lavorando, indagando la realtà antropologica del quartiere, prendendo contatti e ipotizzando una serie di iniziative culturali.
Saranno quindi principalmente due gli ambiti d’azione di questo nuovo spazio: cittadinanza e accoglienza da un lato (con servizi di mediazione culturale e sostegno agli immigrati), e aggregazione giovanile e studio dall’altro (con uno spazio dove aiutare i più giovani ad affrontare e gestire i loro problemi).
Insomma: un punto d’appoggio e di ascolto, un luogo laico ma anche un luogo della chiesa, di testimonianza attraverso le azioni come in passato lo è stato attraverso la predicazione.