Esiste un modo «religioso» di affrontare il lutto?
16 luglio 2015
La tradizione ebraica nell’ultimo libro di Elena Loewenthal
Quando si ama uno scrittore, una scrittrice se ne comprano i libri come guidati da un impulso irresistibile, come se ci fosse un appuntamento segreto con la loro ultima opera, come se ci fosse una traccia, un discorso iniziato e non concluso. Almeno è quello che capita a me! Dunque ho comprato l’ultimo libro di Elena Lowenthal*, che amo per la sua scrittura decisa e impietosa. L’ho comprato senza nemmeno conoscerne il contenuto, anche se quel titolo, Lo specchio coperto, mi intrigava, perché rimandava a un rito del lutto che l’ebraismo ha trasmesso a buona parte del cristianesimo. Ed ecco l’incipit: «Abbiamo accolto la morte in casa coprendo il grande specchio del soggiorno, come impone la tradizione ebraica. Sotto lo specchio, il vuoto della scrivania di chi non c’era più». La morte del marito, del compagno amato di una vita raccontata con una prosa sincopata, cruda e tremendamente vera. Pagina dopo pagina riemergono ricordi, riflessioni, emozioni dominati dalla ineluttabilità dell’assenza che i riti del lutto non leniscono.
Spontaneamente sono sorti in me ricordi di altre narrazioni di lutti, di persone incontrate nella mia quotidianità di medico, ma anche di altri libri, di film come Film blu di K. Kieslowski. Come non rievocare il Diario di un dolore di C. S. Lewis (Adelphi 1990) o Le Fils di M. Rostain (Oh! Éditions 2011, premio Goncourt, credo non tradotto). Tralascio altre narrazioni come La stanza del figlio di Nanni Moretti o Tutti i bambini tranne uno di P. Forest perché, pur nella similitudine del tema (la morte di un figlio che perisce durante una immersione subacquea per Moretti, e di una figlia bambina che muore di una malattia tumorale dopo il calvario delle cure mediche per Forest), la narrazione si dispiega in ampiezza perdendo l’incisività che invece è presente in tutti i tre testi citati.
Cambiano le figure delle quali si parla: la moglie per Lewis, il figlio adolescente per Rostain, il marito per Loewenthal, ma resta lo sgomento di fonte alla morte. La morte come mistero, la morte come esperienza, la morte come «pieno» di emozioni (la nostalgia, lo strazio, il dolore, la solitudine, la rabbia) nel vuoto di una assenza ineliminabile. Dice Rostain: la morte fa parte della vita, si può vivere con questa condizione di orrore, di disperazione assoluta...: certo la vita continua in una apparente normalità ma nel profondo emerge la verità di quanto dice Lewis: «io non solo vivo ogni interminabile giorno nel dolore per la sua morte, ma lo vivo pensando che vivo ogni giorno nel dolore», che ritrovo nelle parole di una signora vedova, apparentemente immersa in una vita piena di relazioni, di impegno, di affetti, che mi dice «sono ventitrè anni che sopravvivo a me stessa».
La morte non ha nulla di religioso, dice Loewenthal ma lei è a suo agio dentro il modo ebraico di affrontarla. È la rivalutazione dei riti del lutto che la nostra società cerca di annullare, dimenticare, quasi che in questo modo la separazione provocata dalla morte sia meno radicale,meno presente. La scrittrice ci ricorda invece che il lutto è anche il ritrovarsi un po’ diversi, è il riuscire a non vergognarsi dello stupore che si prova di fronte all’eternità della morte. Dice Lewis: «Parlatemi della verità della religione e ascolterò con gioia. Parlatemi del dovere della religione e ascolterò con umiltà. Ma non venite a parlarmi delle consolazioni della religione, o sospetterò che non capite».
In tutti questi testi si parla molto di lutto e credo che questo appartenga alla religione e non alla fede: può funzionare o meno per riportare a una normalità sociale, ma non attiene all’ orizzonte del senso della nostra vita nel quale possiamo trovare Dio, il Dio delle Scritture, dei Salmi e anche il Dio che evoca Lewis quando dice: «Può un mortale fare domande che Dio trova senza risposta? Facilissimo direi. Ogni domanda senza senso non ha risposta (...). Ma non è la porta sprangata. Assomiglia piuttosto ad un lungo sguardo silenzioso e tutt’altro che indifferente. Come se Lui scuotesse il capo non in segno di rifiuto, ma per accantonare la domanda».
* E. Loewenthal, Lo specchio coperto. Diario di un lutto, Milano, Bompiani, 2015, pp. 128, euro 15,00.