Il tempo della politica e l'urgenza dei diritti
13 luglio 2015
Intervista a Ivan Scalfarotto, sottosegretario alle Riforme e ai Rapporti con il Parlamento, che ha iniziato un digiuno di protesta per la calendarizzazione del disegno di legge sulle unioni civili
“Il tempo non basta più”. Scalfarotto, lei ha titolato così il post con cui ha annunciato lo sciopero della fame per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei diritti civili e delle unioni omosessuali.
«Sì, il tempo si va esaurendo. Il tempo delle persone prive di diritti, che attendono da anni o addirittura da decenni di vivere la propria affettività in condizioni di parità con gli altri cittadini italiani. Il tempo dell’Europa, in cui il matrimonio paritario o le unioni civili sono la regola, mentre l’Italia resta nel Patto di Varsavia della discriminazione insieme ai Paesi dell’Europa orientale. Il tempo del mondo, che con la storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti fa ritenere ormai intollerabile. Quello che io preferisco chiamare “digiuno”, anziché sciopero della fame, intende fare in modo che il tempo della politica si ricolleghi all'urgenza della vita delle persone».
Cosa sta bloccando l’iter del disegno di legge Cirinnà, attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato?
«In Parlamento, l’atteggiamento ostruzionistico di alcuni senatori del Nuovo Centro Destra e di Area Popolare. Avere un’aperta contrarietà alla legge, che ha peraltro un impianto di grande moderazione e prudenza, è del tutto legittimo. Presentare migliaia di emendamenti, quasi tutti pretestuosi, ha l’unico scopo di bloccare l’iter legislativo ed impedire al Parlamento di decidere, dopo avere ampiamente discusso. Il vero problema, però, è che chi nel paese si oppone a questa legge lo fa con una determinazione alla quale non corrisponde una determinazione uguale e contraria da parte di coloro che sono favorevoli. Ancora non si è raggiunto il giusto grado di consapevolezza circa la serietà di questa situazione e sull'urgenza di agire».
L’ultimo Family Day, contro unioni civili e gender, può condizionare anche a livello politico la calendarizzazione del disegno di legge?
«È stata ed è la trasparente intenzione degli organizzatori, che hanno utilizzato lo spettro di una inesistente ideologia gender per sferrare un violento attacco oscurantista alla libertà didattica, alle prerogative dello Stato in termini educativi, ai diritti umani e civili di una categoria di cittadini. Una sfida che a mio parere è rivolta anche alla parte più equilibrata della Chiesa italiana, e che cerca di forzare il mondo cattolico ad attestarsi su posizioni oltranziste. È chiaro che il rischio di un condizionamento del genere esiste. Ma la democrazia non può essere sospesa da una piazza. Il Parlamento ha non solo il diritto, ma il dovere di pronunciarsi».
Anche la norma sull’omofobia è ferma in Senato dal 19 settembre 2013.
«Lo so bene. Ed è un esempio perfetto del malfunzionamento del nostro bicameralismo paritario, che nel suo insieme rappresenta un colossale incentivo a non decidere, a non fare, a non muoversi. Anche su questo tema il rischio è che ciò che il Parlamento decide di non fare, venga fatto a suo dispetto dalle magistrature italiane o internazionali. Penso si tratterebbe di una sconfitta per tutti i parlamentari, comunque la pensino, e per la loro altissima funzione».
Il suo gesto “alla radicale”, simbolicamente forte è rivolto solo ai suoi colleghi politici contrari alla discussione e approvazione del disegno di legge?
«Certamente no, anche se ha come obiettivo uno scatto di reni del Parlamento, per le ragioni che ho spiegato. È anche un gesto di appoggio e sostegno rafforzato ad un Governo e ad un premier che, per la prima volta nella storia italiana, hanno espresso un forte appoggio al riconoscimento dei diritti civili. Ma è, o vorrebbe essere, soprattutto uno stimolo a quell’opinione pubblica laica, quelle persone che hanno a cuore la democrazia e i diritti civili, che sembrano assistere con una sorta di pacata indifferenza all’assalto dell’oscurantismo e dell’intolleranza. Non mi stancherò mai di ripetere che la battaglia per i diritti delle persone LGBT non è una battaglia “degli omosessuali”; è una battaglia di tutti, perché è interesse di tutti vivere in una società più giusta ed inclusiva».
Se non dovesse trovare riscontro in tempi rapidi, intende proseguire con questa sua protesta civile, questo suo Satyagraha?
«Naturalmente. Sono felice di non essere solo, e che ci siano tante persone che si privano a loro volta del cibo per esprimere sostegno alla mia iniziativa, in una sorta di “staffetta dei diritti” della quale sono commosso e fiero. Andrò avanti con la costanza e la tenacia che la questione merita, pronto a interrompere la mia protesta nel momento in cui mi verrà garantita una data certa o, almeno, manifestata una definitiva assunzione di responsabilità. Vorrei che, come si fa allo sportello delle poste o nello studio medico, venisse assegnato al tema un numero progressivo, in modo che tutti si possa sapere a che punto toccherà a questa causa. Che è poi la causa di un’Italia moderna e civile. Avuta questa assicurazione, riprenderò a mangiare. Ma riprenderò a digiunare se l’assicurazione ricevuta si rivelasse per qualsiasi motivo infondata. Alla fine sono sicuro che ce la faremo a riportare l'Italia, la culla del diritto, nel posto in cui merita, tra le nazioni più avanzate del pianeta».