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Riconoscere il proprio peccato dinanzi a Dio

Un giorno una parola – commento a Gioele 2, 13

Stracciatevi il cuore, non le vesti; tornate al Signore, il vostro Dio
(Gioele 2, 13)

Il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto, dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore!»
(Luca 18, 13)

Riconoscersi peccatori è molto difficile. Vuol dire guardarsi dentro, riconoscere le proprie mancanze. Vuol dire saper di aver sbagliato e magari trovare le parole per chiedere scusa. Ci risulta difficile conoscere chi siamo veramente e spesso non lo vogliamo sapere. Preferiamo fingere di sentirci sicuri, anche un po’ spavaldi e non tornare indietro sui nostri passi. Se abbiamo difficoltà a confrontarci con i nostri simili, figuriamoci se sappiamo metterci in ginocchio di fronte a Dio. Figuriamoci se siamo capaci di ammettere i nostri sbagli di fronte a Dio. Eppure se troviamo il modo di abbassarci e accettare la nostra umile condizione di uomini e donne qualcosa può cambiare nella nostra vita: possiamo scoprire che non vale molto essere i più forti in un mondo dove esistono solo la competizione e l’incomprensione, perché presto troveremo chi ci renderà la vita difficile e non riusciremo a competere in furbizia e colpi bassi. Sapere di poter rivolgerci a Dio aprendo il nostro cuore ci rende capaci di non aver paura, neanche delle sconfitte che la vita ci porta in abbondanza.

Dio ci chiede di essere onesti con noi stessi e di non fingere. Essere persone vere e sincere ci aiuterà a sentirci bene, a valorizzare chi ci sta vicino, a comprendere meglio gli errori degli altri, ad essere indulgenti e pazienti. Dio non ci chiede di essere perfetti nella preghiera per entrare nelle sue grazie o per se stesso, ci chiede di conoscere i nostri limiti e le nostre debolezze per non essere duri di cuore e imparare ad amarci gli uni gli altri.

Foto di vince42, LIcenza CC BY-SA 2.0,  via Flickr