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I disegni di Marco Rostan in mostra a Torre Pellice

I disegni di Marco Rostan esposti da domenica 23 fino al 29 agosto nell’atrio del municipio di Torre Pellice

Di Marco Rostan, fedele collaboratore del nostro settimale Riforma-L’Eco delle Valli Valdesi fin dai tempi della direzione di Gino Conte, siamo in molti a conoscere i suoi disegni dei templi, riprodotti come stampe e cartoline in bianco e nero e rintracciabili sul sito dei Comitato dei luoghi storici valdesi. Fra la sessantina di opere che saranno esposte da domenica 23 fino al 29 agosto nell’atrio del municipio di Torre Pellice, però, i templi non ci sono, ma c’è ben altro. Opere che vanno dal 1955, anno in cui vinse il 1° premio (con coppa) di una «Mostra del dilettante» della Regione, al 2014, quasi senza interruzioni.

Incontriamo Marco in mezzo ai suoi quadri e notiamo con un certo stupore che non c’è un ordine cronologico. «Perché di fatto continuo a disegnare e dipingere secondo stili diversi a seconda del soggetto e del luogo”, racconta. “Quando sono in giro, in vacanza, al mare, sui tavolini di un bar (sempre in Francia, con un tavolino di marmo e il pastis, ci sono i taccuini per i veloci appunti a penna). Da un po’ di tempo, avendo la possibilità di avere in una stanza un vecchio tavolo di mio nonno, geometra al Comune di Torino, e di tenere sempre a disposizione colori, pennelli, pennarelli, mi dedico alla forma di un albero, di un vaso, di una bottiglia, ma anche alle ciminiere e alla pietra di Luserna. Dal vero e concreto all’astratto, dal lontano al sempre più vicino».

La tua vita, quella della tua famiglia, si è spesa in vari luoghi. Da Pinerolo a Roma, Cinisello Balsamo e di nuovo alle Valli, dove sei nato e vissuto fino alla prima liceo. Questi spostamenti hanno inciso sul tuo lavoro?

«Sicuramente quello più decisivo fu a Roma: data la vicinanza di piazza Cavour con il mondo artistico delle botteghe e delle mostre di via Margutta e piazza di Spagna, mi sentivo parte di quella comunità bohémienne. Sul terrazzo di Valerio, pittore anche lui, rinfrescati dal ponentino, guardavamo i grandi gialli e i rossi pompeiani dei palazzi romani sognando futuri di artisti famosi».

E nella nebbia di Cinisello?

«La nebbia mi piace. Mi piace intravedere le sagome delle case fra i campi delle squallide periferie o dei tralicci dell’elettricità. Mi piace la città nella nebbia, so che ci inquina ma non mi importa, preferisco le fabbriche al “pittoresco alpino con le sue improbabili baite e le scintillanti nevi e montagne incantate” che i pittori della domenica espongono ogni settimana proprio qui davanti».

Nei tuoi ultimi lavori colpisce il colore puro senza mescolanze e l’importanza dei contorni in nero. Significano qualcosa?

«Io non sono un uomo della postmodernità, delle sinergie, delle reti, della connessione esasperata. Faccio ogni cosa a suo tempo, sono convinto dell’importanza del limite perché solo dentro un limite c’è vera libertà e creazione. Il mio bianco e nero contrapposti o intrecciati, i miei contorni e le mie tinte unite sono una protesta contro il pensiero debole e liquido che oggi molti condividono».

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