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Donne e Medio Oriente

La questione femminile non può prescindere dalle difficoltà del contesto sociale

Il mese scorso, nel nord-ovest del Pakistan, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, a circa 54.000 donne è stato impedito di votare. Le autorità elettorali hanno dichiarato nulli i risultati delle elezione amministrative del collegio elettorale di Dir. Gli altoparlanti delle moschee del centro hanno dato l'annuncio che ha impedito alle donne di recarsi alle urne, secondo le testimonianze raccolte dall'avvocato che segue l'inchiesta. Abbiamo commentato la notizia, ragionando sulla situazione femminile in tutto il Medio Oriente, con Simone Zoppellaro, corrispondente dall'Armenia per l'Osservatorio Balcani Caucaso, redattore di East Journal e per anni docente di italiano in Iran.

Come ha letto questa notizia?

«La notizia va contestualizzata: il fatto è avvenuto in una zona a forte presenza talebana, a ridosso dell’Afganisthan. Ancora una volta sui diritti delle donne si giocano partite politiche altre, un'egemonia politica fra chi vorrebbe una loro inclusione nella scena politica e chi no, richiamandosi ad un interpretazione, forse marginale, della religione. Il Pakistan è un paese musulmano fin dalle sue origini, perché nasce come un nucleo dell’India musulmana, ed ha una forte identità religiosa. Ma è stato anche un paese che ha avuto un ministro donna per due volte, con Benazir Bhutto, e non è l’unico paese musulmano con questa caratteristica».

Anche in queste elezioni era candidata una donna

«La questione della donna nel mondo musulmano va sempre inquadrata in un contesto sociale ed economico ben specifico. In Pakistan ci sono enormi problemi e la questione femminile non può essere vista esclusivamente come filosofica o relativa ai diritti umani. Non si può mai prescindere dal disagio sociale che sta intorno. In Siria, ad esempio, negli ultimi anni le nuove generazioni di donne sono tornate ad usare il velo, che le loro madri per molti decenni non hanno più indossato. Anche in questo caso, dobbiamo immaginare il disagio che la guerra civile ha portato in quel contesto».

Quindi è impossibile avere un’immagine unica della donna in medio Oriente?

«Si, la questione è complessa ed è difficile fare un discorso unico sul mondo musulmano: dall’Arabia Saudita, dove non possono nemmeno guidare, ai molti paesi che hanno avuto donne presidenti o primo ministro, come Pakistan, Bangladesh, Indonesia, o Turchia. In Iran c’è quasi un paradosso: l’avvento della Repubblica islamica ha favorito l’inclusione delle donne nella scena politica e nell’educazione, dando qualcosa che prima della rivoluzione non era presente. Alle donne non era concesso studiare, lavorare nei luoghi pubblici se non con l’imposizione di togliere il velo: questo comportava che molte di loro, soprattutto delle zone rurali, rimanessero chiuse in casa. La Repubblica islamica impone il velo a tutte le donne, ma poi si può notare la forte inclusione sociale: più donne che uomini nelle università e ruoli importanti occupati da figure femminili».

Qual è il ruolo della religione in tutto questo?

«Oggi il Medio Oriente è un pessimo luogo in cui vivere, ma non solo per le donne. Guerre, terrorismo, fenomeni complessi dalle conseguenze drammatiche. La religione ha un ruolo in tutto questo, ma non dimentichiamo che l’Islam non è monolitico e l’importanza della religione non è la stessa in tutti i paesi del mondo musulmano. In Turchia, soprattutto prima di Erdogan, la religione aveva un ruolo marginale; nel contesto Saudita la religione è preponderante nella definizione culturale dello stato. Ci sono anche dei fenomeni positivi, come il femminismo islamico, un'esperienza positiva con progetti molto importanti per fare dei passi avanti».

C'è bisogno di un evoluzione del ruolo della donna in Medio Oriente? Si sta già vivendo in alcuni paesi?

«Senza dubbio c’è bisogno di un cambiamento in molti paesi, a partire da quelli del Golfo, “nostri alleati” a cui non rimproveriamo la violazione dei diritti umani, che presentano una situazione drammatica per il ruolo della donna. L'evoluzione di questo ruolo avviene se vi è un contesto culturale ed economico positivo: immaginare un percorso positivo, lineare e pacifico dove ci sono guerre civili e bombardamenti è davvero difficile. Laddove c’è pace, un'evoluzione lenta sta già avvenendo, come in Iran: pochi giorni fa l’intervento di un rappresentante del clero iraniano ha messo in questione del velo, dicendo che l’imposizione è stata un errore fin dalle sue origini. Da qui è nato un dibattito nella società: dove il contesto è più critico, la situazione delle donne e delle fasce più deboli è anch’essa più critica».

Foto  "Chitral - KPK" di Msanamsaeed - Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.