Fare impresa contro la mafia
26 maggio 2015
Confiscare un bene alle organizzazioni criminali è innanzitutto un investimento: non soltanto economico ma anche culturale ed etico
La legge n. 109/96 prevede che i beni confiscati alle mafie siano affidati a soggetti in grado di restituirli alla cittadinanza attraverso servizi, attività di promozione sociale ma anche attraverso il lavoro. In molti casi, infatti, non si tratta soltanto di beni immobili, ma anche di aziende avviate, che si traducono direttamente in occupazione per le persone. La gestione di questi beni implica la lotta a un’infiltrazione mafiosa di ritorno, è complessa e spesso frustrante, e si scontra con paradossi burocratici e culturali che ne rallentano l'efficacia. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Baldessarro, direttore della rivista Narcomafie.
Qual è lo stato delle aziende confiscate alle mafie?
«Non tutte le aziende sono uguali, dipende dal tipo di attività che svolgono. È vero che molte aziende confiscate riportano il lavoro buono, c'è un iniezione di entusiasmo tra gli stessi lavoratori, ma non bisogna dimenticare che molte altre vanno dritte verso il fallimento. Questo avviene perché quando entrano in amministrazione giudiziaria, le cose cambiano: lo Stato ovviamente mette tutti i paletti e fa rispettare le regole che la gestione mafiosa non rispettava: dunque inevitabilmente queste aziende vanno a finire fuori dal mercato. Le mafie non hanno problemi di liquidità, non discutono con i sindacati e abbattono la concorrenza con la concorrenza sleale. Un altro problema paradossale, essendo gestite dallo Stato, è che una volta confiscate queste aziende cominciano ad avere problemi di credito: le banche non sono più disponibili a dare ciò che davano prima, i fornitori di beni e servizi chiedono i pagamenti in contanti subito, cosa che magari prima non facevano. Questi aspetti creano grandi difficoltà a chi deve amministrare l'azienda. Noi parliamo di lavoro, di rilancio dell'occupazione, di circuiti sani, ma ogni volta che apre un’azienda mafiosa, ne chiudono due sane, mediamente. Il fenomeno è complesso, e va analizzato caso per caso».
Lo Stato è in difficoltà a gestire questi beni?
«Lo Stato dovrebbe avere più coraggio: ogni volta che confisca un’azienda, dovrebbe considerare un investimento iniziale, cosa che attualmente non fa. A quel punto tutto potrebbe cambiare, perché significherebbe mettere in conto un bilancio che con il tempo potrebbe crescere. Ora non è previsto, ma lo Stato manda l'amministratore giudiziario, il quale gestisce quello che ha, senza risorse a disposizione per investire in innovazione, in riqualificazione del bene, e così via. In questo momento registriamo che le banche si chiudono a riccio, paradossalmente, proprio quando la gestione è dello Stato. Dovremmo trovare un tavolo di discussione con le banche per spiegare che oltre all'investimento economico c'è una questione di cultura e di etica».
Ci sono esempi positivi?
«Sì, assolutamente. Per esempio a Monteporzio Catone, vicino a Roma, due anni fa sequestrarono un grande albergo, che fu dato in gestione ad una cooperativa fatta da ex dipendenti. I ragazzi che lavoravano nella struttura avevano delle professionalità utili, l'azienda ha mantenuto i posti di lavoro, è in crescita e sta facendo delle cose buone. Gli esempi positivi ci sono, ma bisogna incastrare tutti i tasselli affinché il puzzle che ne viene fuori vada nella giusta direzione».
Si discute della riforma del codice antimafia, qual è il suo commento?
«Questo testo adesso è ancora grezzo, ci sono grandi margini di miglioramento: per esempio ora le aziende confiscate vengono gestite da amministratori giudiziari che molto spesso per mestiere fanno altro. Amministrare un'azienda che si occupa di sanità oppure di ristorazione è evidentemente diverso e se si andasse verso una specializzazione degli amministratori sarebbe sicuramente positivo. Abbiamo poi un problema di lentezza: dal sequestro alla confisca definitiva passano degli anni nei quali succedono tante cose, le aziende si perdono e non sono più efficienti come prima; snellire i tempi è un nodo decisivo. Non sarà semplice ma la discussione è all'inizio».
Copertina: Beni sequestrati in Italia dal sito di Libera.it