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«Non esiste Palestina senza i cristiani»

La canonizzazione di due suore palestinesi e il riconoscimento dello Stato palestinese da parte del Vaticano ricordano a tutti che la presenza cristiana in Medio Oriente non può essere ignorata.

Con l’incontro di sabato 16 maggio tra il presidente dell’autorità palestinese, Abu Mazen, e Papa Francesco, il Vaticano ha scritto una nuova pagina nei propri rapporti diplomatici in Medio Oriente riconoscendo per la prima volta in modo ufficiale lo Stato palestinese.

Guardando quanto accaduto con gli occhi di chi vive nei territori palestinesi, come il volontario del Vis, Luigi Bisceglia, che da anni vive a Betlemme, la notizia non deve stupire, perché «era stata preannunciata poco meno di un anno fa, il 25 maggio 2014, quando durante la celebrazione di una messa a Betlemme, nella piazza della Natività, il Papa aveva esortato israeliani e palestinesi affinché si arrivasse alla pace, e aveva anche citato il fatto che per arrivare a una situazione stabile ci fosse bisogno di creare uno Stato palestinese, con due Stati e due popoli in grado di convivere». Dodici mesi dopo, questo percorso sembra ancora molto lontano, e l’assedio di Gaza della scorsa estate è lì a testimoniarlo, ma a livello simbolico il gesto del Vaticano potrebbe permettere di raccogliere intorno alla soluzione a due Stati un consenso molto più ampio di quanto visto finora.

Distogliendo brevemente lo sguardo dalla questione geopolitica, la giornata di sabato 16 maggio racconta anche della canonizzazione, da parte della chiesa cattolica, di due suore palestinesi. «Per i cristiani in Palestina – racconta Bisceglia – questo avvenimento significa veder riconosciuta la propria presenza, divenuta sempre più minoritaria ma comunque esistente. È come se, in qualche modo, potessero dire che “in Palestina ci siamo anche noi e ci siamo da sempre”. […] Il messaggio importante è questo: non esiste Palestina senza i cristiani». La presenza cristiana si è andata a ridurre progressivamente negli ultimi 30 anni, con una forte accelerazione durante la seconda Intifada, tra il 2000 e il 2002, quando molti fedeli decisero di abbandonare i territori occupati. Secondo le stime ufficiali, si parla di 180.000 cristiani tra la Cisgiordania e Gerusalemme, anche se si tratta di un numero in costante riduzione. Le istituzioni religiose sul territorio stanno cercando nuovi strumenti per rallentare questa fuga, provando a fornire case, aiuti economici e opportunità lavorative. «Il problema è che non basta – afferma Bisceglia, che con il Vis lavora nel campo dell’istruzione superiore per cittadini palestinesi – , per migliorare la condizione dei cristiani e per supportare il fatto che rimangano e non migrino per cercare lavoro bisogna fare di più». Inoltre, nella regione gli spazi per le migrazioni in cerca di opportunità si riducono costantemente, viste le situazioni sempre peggiori in Siria e Iraq e le tensioni che attraversano tutto il Medio Oriente e in generale i paesi arabi.

La presenza cristiana e la difesa dei diritti di chi vive in Palestina passano necessariamente da una nuova stagione per il processo di mutuo riconoscimento con Israele, che nell’occasione della canonizzazione delle suore palestinesi ha deciso di mantenere un basso profilo, inviando all’evento di sabato 16 maggio un cristiano arabo israeliano. Per Tel Aviv il momento di compiere scelte importanti si avvicina sempre più: da un lato, infatti, la grande visibilità ottenuta da Abu Mazen potrebbe spingere la causa palestinese anche in nuovi ambienti, mentre il governo di Netanyahu, che sul fronte interno ha una maggioranza molto risicata, a livello internazionale appare sempre più isolato. Gli eventi, tuttavia, si scontrano con un problema di volontà. «Vista da qui – conferma Luigi Bisceglia – la sensazione è che talvolta, e lo dico parlando di entrambe le parti, convenga più gestire il conflitto invece che risolverlo». Ma cosa ci si può aspettare per il prossimo futuro, visti i recenti riconoscimenti internazionali nei confronti dello Stato palestinese? «Credo che nel breve periodo – conclude Bisceglia – non succederà nulla, né in senso militare né in senso diplomatico. Facciamo una vita normale ed è come se ci si fosse dimenticati dei 2.500 morti a Gaza, delle 11.000 case distrutte e di tutto il resto».

Foto: Chiesa cristiana a Betlemme, di neufal54, Licenza: CC0 Public Domain, via Pixabay