Che cosa farebbe Gesù?
19 agosto 2014
Un giorno una parola - Commento a Efesini 3,17
Salomone disse: «Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere; quanto meno questa casa che io ho costruita»
(I Re 8,27)
Il Padre faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori
(Efesini 3,17)
È per mezzo della fede che Cristo, in questa preghiera che conclude la prima parte della lettera agli Efesini, abita nei cuori dei credenti. L’inciso «per mezzo della fede» esclude la possibilità che questa «abitazione» di Cristo nel nostro cuore venga compresa come una mistica «fusione» del cristiano con il suo Signore, con una perdita della nostra identità umana e una contemporanea assunzione dell’identità di Cristo. La fede, infatti, presuppone sempre una relazione «pattizia», «un patto tra almeno due persone in cui un partner confida in ed è fedele all’altro, senza cercare di assorbirlo» (Markus Barth).
Il Cristo che abita nel nostro cuore, in altri termini, non ci «sfratta» da esso, ma diventa il nostro partner, il nostro «coinquilino». La nostra esistenza, spiega ancora Markus Barth, viene così «determinata dall’incontro, dalla conversazione e dal contatto con Cristo». È anche importante sottolineare che il cuore, nella comprensione biblica, non è – come lo è per noi – la sede dei sentimenti. Sia per l’Antico che per il Nuovo Testamento la sede dei sentimenti e delle emozioni sono le «viscere», mentre il cuore è la sede dell’intelligenza, della volontà, delle decisioni. Se Cristo abita davvero nei nostri cuori, se è il nostro partner e «coinquilino», in ogni decisione della nostra vita dovremmo confrontarci con Lui, dovremmo chiederci (e chiederGli), per riprendere il titolo di un famoso romanzo pubblicato nel 1896 dal pastore Charles Sheldon (vicino al movimento del Social Gospel, il «Vangelo sociale»): «What would Jesus do?», «Che cosa farebbe Gesù?». Ecco un modo molto concreto per verificare se davvero Cristo abita nei nostri cuori.