Una società divisa
29 aprile 2015
A margine degli scontri di Baltimora, alcune riflessioni su come funziona l'organizzazione sociopolitica negli Stati Uniti
Leggiamo notizie inquietanti da Baltimora, la maggior città del Maryland: duri scontri tra afroamericani e polizia dopo la morte di Freddie Gray, di 25 anni, che era stato arrestato dalla polizia per detenzione di un coltello a serramanico. Potremmo paragonare questa vicenda ad un “caso Aldovrandi” o a un “caso Cucchi”, per rimanere alla cronaca italiana; però gli scontri negli Usa sono talmente gravi da avere delle conseguenza neppure immaginabili nel nostro Paese, cioè la discesa in campo della Guardia Nazionale.
Anche se è molto difficile perché in maniera ricorrente negli Usa esplodono questi conflitti, possiamo provare a descrivere brevemente alcuni aspetti dell'organizzazione sociopolitica nord americana, che ci possono dare qualche informazione maggiore.
Gli Usa sono una federazione di Stati (come tutti sanno), e il governatore corrisponde localmente al presidente. Ciò vuole dire che ha nelle sue mani un potere reale incomparabile a qualsiasi politico italiano: in Italia nessun sindaco, prefetto, presidente di regione, presidente del consiglio dei ministri potrebbe chiamare così facilmente l'esercito per questioni di ordine pubblico. Invece negli Stati Uniti ognuno dei 50 Stati ha la sua Guardia Nazionale, composta da riservisti, che possono essere utilizzati in guerra (a turno, a seconda delle specializzazioni eventuali) e per scopi di ordine pubblico, agli ordini del governatore, che ne è il comandante – limitatamene al territorio del suo Stato.
Non esiste la polizia come la intendiamo noi, cioè un corpo che opera sul territorio ma dipende da enti terzi (ministero dell'Interno, della Difesa per i Carabinieri ecc.): esiste la polizia cittadina (che dipende dal Comune, sempre che questa definizione abbia senso nel quadro giuridico statunitense), della contea (che grosso modo corrisponde alla nostra provincia, ma con competenze di governo delle aree extra urbane) e poi una miriade di polizie federali (la famosa Fbi di Hoover degli anni '30-'60 del '900), che però hanno competenze diverse, di solito per i reati federali, cioè reati commessi a cavallo tra Stati (rubare una macchina in uno Stato e fuggire in un altro, ad es.). Anche questo per noi è difficile da capire: è come se ci fossero leggi che valgono solo in Piemonte, leggi lombarde ecc., e poi “super leggi” italiane.
Un altro problema che esaspera le tensioni è che spesso nelle città i quartieri ricchi – o anche solo “normali” per i nostri standard – sono separati nettamente tra loro, ma fianco a fianco: nella mia esperienza è raro percorrere una strada con case belle, brutte o medie: piuttosto si ha rapidamente la sensazione di essere o in un posto tranquillo o pericoloso. In questa situazione, la tentazione di “saltare il muro” (o attraversare la strada...) è reale – non a caso nei filmati che si vedono in tv i soldati sono schierati parallelamente agli incroci: fa pensare che dietro alle spalle dei militari inizi un quartiere più ricco, abitato da bianchi (o per lo meno da non afroamericani).
A quel che si legge sui giornali nordamericani, Freddie Gray era il “tipico” afroamericano: figlio di una madre tossicomane semianalfabeta, cresciuto in una casa sotto il livello di abitabilità a causa infiltrazioni di piombo nelle tubature, con numerosi precedenti penali per spaccio di droga, che viveva in una zona della città che facilmente definiremmo un ghetto.
Al di là degli scarni dati biografici, la sua storia sembra emblematica per capire come mai gli afroamericani partono dalle classi sociali più basse (e spesso lì rimangono). Da un lato gli afroamericani soffrono il problema di avere un drammatico passato alle spalle – la schiavitù al Sud, ma anche essere stati il proletariato meno qualificato nelle città industriali del Nord – in una società non particolarmente solidale. Questo vuol dire, in pratica, che spesso vivono in aree disagiate, con scuole peggiori e con maggiori problemi di salute, causati anche da una pessima alimentazione basata su cibi economici e ipercalorici. Però non si può neppure schematizzare troppo radicalmente, descrivendo gli afroamericani come “tutti senza potere”: in questo momento, a Baltimora, sia il sindaco, sia il capo della polizia sono afroamericani.
Per quanto si capisce, le chiese tentano di arginare l'aggressività sotto il punto di vista razionale; però bisogna ricordare che tradizionalmente esse sono dei “santuari dell'autocomprensione” afroamericana, nel linguaggio, nella scelta della musica, nello stile di comunicazione: nelle chiese presbiteriane afroamericane è in uso un innario che prevede liturgie specifiche per la domenica dedicata agli artisti afroamericani, agli scienziati afroamericani ecc.: si può anche immaginare che un funerale molto partecipato possa sfociare in una dimostrazione che poi degenera in un primo scontro – anche perché spesso le forze dell'ordine guardano automaticamente con sospetto gli afroamericani quando sono isolati, immaginiamoci quando sono in un gruppo folto ed esasperato.
Un ultima annotazione: in molti Stati l'uso del carcere è molto più massiccio che da noi – si va in prigione per reati che in Italia implicherebbero una multa: a Baltimora la prigione (chiamata pudicamente City Detention Center) è lugubre castello aperto nel 1800 in pieno centro: a buon intenditore...