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25 aprile: il ruolo delle staffette partigiane

Il contributo delle donne alla lotta di Liberazione fu determinante

Nell’ambito dei festeggiamenti di valle per il 25 aprile a Luserna San Giovanni sono state presentate le tesi di laurea di Debora Michelin Salomon sul ruolo delle  staffette partigiane e Rosaria Popolo sul giornale partigiano «Il Pioniere».

Un numeroso pubblico ha ascoltato con molta attenzione e partecipazione alle esposizioni che non hanno tralasciato nessun particolare della ricerca approfondita e appassionata fatta durante il lavoro.

È seguito un dibattito generato dal pubblico, composto anche da persone che hanno vissuto il periodo storico.

Abbiamo chiesto alla nostra collaboratrice Debora di raccontarci qualcosa in più.

Il 70° anniversario della Liberazione è l’occasione giusta non solo per festeggiare una data fondamentale nella storia italiana, simbolo della riconquistata libertà ottenuta grazie al sacrificio di una generazione di uomini e di donne che decisero di partecipare attivamente alla Resistenza, ma anche per ricordare che cosa significava per i giovani e le giovani di allora vivere in quegli anni. Vorrei in particolar modo sottolineare il contributo fondamentale dato dalle donne alla lotta per la libertà. Non è possibile individuare in maniera univoca il ruolo della staffetta partigiana, gli ambiti di intervento erano infatti molteplici e le donne dovevano affrontare situazioni molto fluide e in rapida evoluzione. Ci furono ragazze che si occuparono del trasporto della stampa clandestina tra la val Pellice, le valli circostanti, Pinerolo e Torino; altre cui era affidata la consegna di materiale e armi per conto delle bande partigiane; quelle che nascosero i giovani combattenti nella propria casa oppure che trasportarono lettere per i familiari dei prigionieri. Ma in val Pellice la Resistenza femminile si costituì anche in forma organizzata, fin dal giugno 1944, nel Comitato femminile clandestino «Renato Peyrot», ideato e coordinato della professoressa del Collegio valdese Anna Marullo, «Sofia». Suddiviso in diversi sottocomitati guidati a loro volta da donne, il Comitato clandestino organizzò corsi di pronto soccorso rivolti alle ragazze che avrebbero successivamente curato i partigiani feriti, fornì assistenza alle famiglie sinistrate durante i rastrellamenti delle SS nella valle, supportò i partigiani fatti prigionieri distribuendo beni di prima necessità e copie del Nuovo Testamento, si preoccupò di formare una coscienza politica non solo nella popolazione in generale, ma in particolar modo nelle donne. Proprio quest’ultimo aspetto merita di essere sottolineato: non solo la Resistenza femminile contribuì in modo determinante alla Liberazione, ma cercò anche di pensare al futuro, preparando le donne alla loro emancipazione e al loro ingresso nel mondo politico e negli ambiti sociali da cui, fino alla II Guerra Mondiale, esse erano state escluse. Come purtroppo ci ricordano troppo spesso le cronache dei giornali, il discorso sul ruolo della donna nella società è tutt’altro che concluso. L’esempio di quelle ragazze – che a rischio della propria vita e senza nessuna garanzia di riuscita nella loro impresa, portarono avanti gli ideali di Libertà e Giustizia sperando in un futuro migliore in cui anche le donne, che avevano dimostrato sul campo il loro valore, avrebbero trovato il loro giusto spazio – può e deve guidarci ancora oggi nella difesa dei valori della Resistenza e nella ricerca di una reale parità di diritti, per tutti e per tutte.

Foto: "Giovanna Marturano". Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

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