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I pregiudizi verso i rom si combattono con la conoscenza

Intervista a Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio

L’8 aprile si celebra in tutto il mondo la giornata internazionale dei rom e dei sinti, istituita in ricordo dell’8 aprile del 1971, quando a Londra si riunì il primo Congresso internazionale del popolo Rom e si costituì la Romani Union, la prima associazione mondiale dei Rom riconosciuta dall’Onu nel 1979. Abbiamo intervistato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, un’organizzazione non profit impegnata nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinti in Italia, principalmente attraverso la tutela dei diritti dell’infanzia e la lotta contro ogni forma di discriminazione e intolleranza.

In occasione della giornata internazionale dei Rom, celebrata l’8 aprile scorso, il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ha dichiarato: «Con un preavviso di sfratto di sei mesi, raderei al suolo tutti i campi rom».

Nei secoli, il popolo rom è sempre stato il capro espiatorio facilmente attaccabile da parte dei poteri forti. In questa prospettiva si pone la dichiarazione di Salvini che, da una parte deve essere chiaramente condannata, dall’altra evidenzia una forte ipocrisia della politica in generale sul fenomeno rom. Mi spiego: il leader leghista parla di radere al suolo i campi dando sei mesi di preavviso, mentre l’anno scorso nelle città di Roma e Milano, governate da giunte lontane dalla Lega, sono stati rasi al suolo 230 campi senza alcun preavviso. Paradossalmente, sarebbe un grosso successo se Ignazio Marino o Giuliano Pisapia dicessero che da oggi in poi prima di sgomberare un campo rom, le persone che vi vivono avranno 6 mesi per organizzare il proprio spostamento.

Qual è la reale condizione dei rom e sinti nel nostro paese? C’è un’emergenza rom in Italia?

Stando al Rapporto annuale 2014, il primo rapporto nazionale sulla condizione dei rom e dei sinti in Italia elaborato dall’Ass. 21 luglio, che è stato presentato proprio lo scorso 8 aprile, vivono nel nostro paese circa 180 mila rom e sinti, che rappresentano lo 0,25% della popolazione presente sul territorio nazionale, la percentuale più bassa in Europa. Il 50% di essi ha la cittadinanza italiana e 4 rom e sinti su 5 vivono in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono una esistenza come quella di ogni altro cittadino, italiano o straniero, residente nel nostro Paese, ma sono volontariamente mimetizzati per paura di uscire allo scoperto, di dichiararsi rom, e quindi di rischiare di essere discriminati in ambito lavorativo, scolastico o abitativo. Più visibili, invece, sono le circa 40mila persone che vivono nei cosiddetti “campi”, vuol dire lo 0,06%, una percentuale assolutamente ridicola che non può rappresentare un’emergenza per un paese di 60 milioni di abitanti.

Effettivamente i media, l’opinione pubblica e gli esponenti politici si concentrano soprattutto sulla realtà dei campi, dove spesso mancano acqua, luce, servizi igienici, luoghi cioè di sospensione dei diritti umani

Certo, queste 40mila persone vivono in una situazione di forte precarietà e di povertà. L’Italia è l’unico paese che ha pensato di costruire i cosiddetti “campi nomadi”, di istituzionalizzare cioè una segregazione abitativa su base etnica. Non solo, queste persone sono spesso vittime degli sgomberi forzati: il Rapporto si sofferma sulla situazione nella Capitale, “cartina di tornasole” di ciò che accade nel resto del paese. Nel solo 2014 ci sono stati a Roma 34 sgomberi che rappresentano un vero e proprio “gioco dell’oca”, nel senso che una volta allontanate le comunità rom che vivono in situazioni di estrema precarietà, queste non evaporano ma si spostano da un punto all’altro della città senza alcun risultato se non la violazione dei diritti umani e uno sperpero del denaro pubblico. Ad esempio, a seguito dello sgombero forzato in via Val d’Ala, a Roma, avvenuto nel luglio 2014, 15 nuclei familiari sono stati trasferiti nell’ex Fiera di Roma e successivamente rimpatriati in Romania. Il “gioco dell’oca” si è concluso con il loro ritorno, dopo 9 mesi, nell’insediamento dal quale erano stati sgomberati per un costo, sostenuto dall’Amministrazione comunale, di quasi 170.000 euro.

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La copertina del Rapporto annuale 2014

Qual è stata la risposta della politica?

Totalmente inadeguata. Quando va bene è per incompetenza, quando va male, come nel caso di Mafia capitale, è a motivo della collusione con la Mafia e quindi con gli interessi economici giocati sulla pelle dei rom. A Napoli, ad esempio, dove si intendeva costruire un campo rom con fondi europei, grazie ad un intervento anche da parte della nostra Associazione, la Commissione europea ha bloccato questi fondi. A Torino, invece, è in cantiere un progetto che si sta rivelando estremamente critico sul grande insediamento denominato Lunga Stura Lazio, che evidenzia una forte incapacità e inadeguatezza nel conoscere il problema e nell’affrontarlo in maniera adeguata. Viceversa in altre città, come Messina, Padova e Alghero, attraverso un lavoro in rete tra le comunità rom, il mondo dell’associazionismo e le amministrazioni, si è riusciti a superare i campi.

A pagare il prezzo più alto di questa situazione sono i minori…

Il Rapporto fornisce dei numeri drammatici: il 60% dei circa 40mila rom che vivono nei campi ha meno di 18 anni. Avrà possibilità prossime allo 0 di accedere ad un percorso universitario mentre le possibilità di poter frequentare le scuole superiori non supereranno l’1%. In 1 caso su 5 non inizierà mai il percorso scolastico e la sua aspettativa di vita risulterà mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione, mentre da maggiorenne avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia. Dietro quei numeri c’è un dato: il minore rom che oggi nasce in un campo è un bambino senza diritti, ha il destino segnato dalla nascita, un destino dove non è lecito sognare, pensare di avere una vita diversa da quella dei propri genitori. Tutto ciò è indice del livello della nostra democrazia e della nostra civiltà.

Le parole di Matteo Salvini non sono che le ultime manifestazioni di un odio e razzismo nei confronti dei rom che ha radici lontane… Come si combattono gli stereotipi e pregiudizi negativi diffusi nei loro confronti?

Salvini non fa altro che esplicitare ciò che la maggioranza della gente oggi pensa. Certo, lui lo fa in maniera estremamente volgare e populista, e c’è chi non ha il coraggio di dire queste cose ma poi le attua. Gli stereotipi si combattono con la conoscenza del fenomeno ma anche con la conoscenza delle persone. Quando si ha un insediamento sotto casa ancor prima di scrivere alla Procura o articoli di giornali, basterebbe scendere giù e prendere un caffè con le persone che vivono in quell’insediamento per conoscere le storie di progetti di vita, di progetti migratori che ci avvicinano tanto a queste persone, perché le loro storie sono spesso le nostre storie: storie di mamme e di papà che cercano di arrivare a fine mese, che vogliono costruire per i loro figli un futuro migliore, che si battono per andare avanti, malgrado il clima fortemente ostile nei loro confronti.

Qual è il lavoro che porta avanti l’Ass. 21 luglio?

Lavoriamo su tre livelli: esercitando una pressione forte a livello nazionale, regionale e locale sulle istituzioni per invitarle a cambiare politica; organizzando, a livello di società maggioritaria, incontri di sensibilizzazione e campagne; e infine lavorando all’interno della comunità rom. Tra una settimana partirà il corso per attivisti, alla sua terza edizione: ogni anno 12 rom e sinti provenienti da varie parti d’Italia si formano ai diritti umani e a credere che è possibile cambiare il corso del proprio destino. Quest’ultimo è l’aspetto più importante sul quale lavoriamo.

Da qualche anno l’Ass. 21 luglio collabora con il Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei). Vi sono progetti in corso?

Sì un progetto riguarda l’accoglienza e il sostegno a giovani che, usciti dai nostri corsi, tentano concretamente di cambiare il corso della loro vita. Alcuni decidono, ad esempio, di iscriversi all’università oppure decidono di uscire dal campo per realizzare ciò che sempre hanno desiderato fare: una ragazza da sei mesi non vive più in un campo, ma presso una struttura nel centro di Roma, e questo le consente di cominciare un corso formativo per diventare chef. Si tratta di progetti importanti che hanno una valenza simbolica molto forte, ma che di fatto possono cambiare la vita delle persone. Sono progetti coraggiosi, perché sono in pochi a scommettere qualcosa su una persona rom, e sono progetti di successo perché stanno portando a dei risultati concreti, reali per la vita di alcune persone.

Foto "Antep erased2" di Antep_1250575_cr.jpg: Nevit Dilmen (talk) derivative work: Durova (talk) - Antep_1250575_cr.jpg. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.

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