Libri all’Indice?
07 giugno 2023
Fino a che punto è lecito giudicare i testi del passato con il metro di oggi? La lettura della Bibbia dovrebbe abituarci a interpretare la distanza che ci separa dall’epoca in cui è stata composta
A tanti autori e autrici d’altri tempi viene periodicamente rimproverato di non corrispondere all’odierna sensibilità “politicamente corretta”, di avere atteggiamenti razzisti, sessisti, offensivi nei confronti dell’una o dell’altra categoria umana. Ne consegue un altrettanto periodico flame socialmediatico in cui vengono versati fiumi di bit. Di recente è successo ai libri di Roald Dahl, uno dei più amati scrittori per l’infanzia, che l’editore britannico Puffin Books ha sottoposto a una contestatissima revisione per appianare descrizioni o considerazioni potenzialmente offensive (per una buona sintesi si veda un articolo del giornale online Il Post).
È senz’altro una questione complessa su cui si potrebbe dibattere a lungo, ma mi preme sottolineare alcuni aspetti a mio parere interessanti per proseguire il ragionamento. Primo, quando sentiamo lanciare strali contro la cosiddetta cancel culture, sarà utile ricordare che in genere chi vive in una posizione di privilegio sociale (per colore della pelle, genere, orientamento sessuale, classe etc.) ha più difficoltà a riconoscere le esigenze di inclusione delle minoranze (noi protestanti italiani un po’ di esperienze in merito ce le abbiamo, facciamone buon uso).
Secondo, il caso particolare di Roald Dahl è un buon esempio delle implicazioni economiche e commerciali di certe operazioni, che non vanno sottovalutate per comprenderle appieno. Le opere di Dahl, morto nel 1990, sono ancora protette dal diritto d’autore, un istituto che, oltre a tutelare i diritti economici degli autori, ne protegge anche i diritti morali, considerati inalienabili, quali la paternità e l’integrità dell’opera. Che succede allora se un autore è morto? I diritti passano agli eredi per i successivi settanta anni, dopodiché la sua opera diviene di pubblico dominio. Solo che nel 2021 gli eredi dello scrittore hanno ceduto la Roald Dahl Story Company al colosso dell’intrattenimento in streaming Netflix. Un dettaglio non irrilevante, in un mondo in cui assicurarsi i diritti di universi fantastici preesistenti (specie se indirizzati al target dei bambini e delle loro famiglie) è considerato più lucrativo di creare contenuti nuovi. Ovvero si preferisce adattare, rivedere e perfino riciclare opere consolidate, magari datate, piuttosto che scommettere sulla creatività di autori e autrici del nostro tempo.
Terzo, ha senso manipolare l’opera di un autore morto? È vero che la scrittura di Dahl contiene una buona dose di dissacrante “cattiveria” e passaggi che oggi consideriamo problematici, ma è anche vero che non si può scindere dallo Zeitgeist, cioè dallo spirito culturale del tempo in cui è stata concepita. E se chi legge vi troverà motivo di scandalo o sconcerto, potrà magari tramutarlo in stimolo di ricerca e riflessione. Dite che i bambini e le bambine non hanno gli strumenti per capire? Ammesso che fosse vero, che ne è stato della responsabilità educativa dei genitori? Anche la Bibbia è soggetta a esegesi storico-critica, non certo alla riscrittura arbitraria da parte dei posteri. Poi, se un giorno Dahl o chi per lui si saranno allontanati tanto dalla sensibilità corrente da essere considerati totalmente inaccettabili, si leggerà qualcos’altro.
Quarto, last but not least, perché ci si scalda tanto quando si parla di libri per l’infanzia? Probabilmente per tanti motivi, a esempio perché la letteratura per l’infanzia è spesso relegata a un ruolo ancillare e utilitario o, detto altrimenti, perché è considerata una letteratura di serie B per lettori di serie B (bambini e bambine) che ha il preciso scopo di insegnare, educare, edificare. Molti genitori chiedono (e il mercato editoriale risponde): cercano libri-medicina, libri per parlare di bullismo, di divorzio, di preadolescenza, di passaggio alla scuola media e quant’altro. In una prospettiva del genere non c’è spazio per il disomogeneo e deviante e la censura preventiva potrebbe sembrare auspicabile, perché serve a “proteggere” piccoli lettori e lettrici.
Ma la letteratura è letteratura e i libri si leggono perché leggere è bello, non per risolvere un problema. Un simile paternalismo priva di fatto i bambini e le bambine del diritto a leggere per intrattenersi e/o per il piacere di un’esperienza estetica e intellettuale, dove anche l’eventuale pietra d’inciampo – come a esempio un’espressione oggi inaccettabile venuta da un’epoca passata – può essere fonte di confronto, riflessione e pensiero critico.
Lasciamoli e lasciamole leggere, e magari leggiamo di più insieme a loro.
* Eva Valvo, traduttrice dal danese e dal norvegese, si occupa in particolare di libri per l’infanzia. Hodder e la fata di poche parole di Bjarne Reuter, da lei tradotto per Iperborea, ha vinto il Premio Andersen come miglior libro 8-12 anni.
Foto di Synne Rustad