Chiese e Covid, una ricerca qualitativa
23 maggio 2023
L'indagine condotta per una tesi di laurea porta a considerazioni utili per immaginare la chiesa del futuro
La pandemia Covid-19 è fortunatamente un ricordo, le restrizioni sociosanitarie e la triste contabilità dei contagi e dei decessi rimangono nella memoria come un periodo triste della nostra storia recente. La distanza che ci separa da quei giorni ci permette di avere maggior lucidità e ci aiuta a comprendere quanto è accaduto e quali sono state le nostre reazioni come singoli e come chiese a quell’evento.
La pandemia ci ha colti di sorpresa, abbiamo sperimentato un vero e proprio mutamento sociale e culturale che ha prodotto una discontinuità, un prima e un dopo nelle nostre vite. I primi casi di Covid-19 vengono registrati in Italia a fine gennaio 2020, ognuno di noi ha dei propri ricordi di quei mesi, ma nella memoria collettiva ci sono due momenti simbolo di quel “tempo sospeso”: la Pasqua e la Festa della Liberazione, dove, nelle piazze deserte di S. Pietro e piazza Venezia, papa Francesco e il presidente della Repubblica in solitudine celebravano queste due ricorrenze solenni.
In questo quadro emergenziale le nostre chiese hanno reagito con responsabilità rispettando le normative sociosanitarie emanate dal governo Conte, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) ha espresso con nettezza e sobrietà la posizione del protestantesimo collaborando con il Governo alla stesura dei protocolli Covid. Le chiese hanno dato prova di vitalità e capacità di reazione, scoprendo una forza che forse non pensavano di avere; ogni comunità ha confezionato a suo modo il culto e lo studio biblico online e indipendentemente dalla soluzione tecnologica adottata, il fine è stato il medesimo: continuare a predicare l’Evangelo e tenere unità la comunità.
Oggi possiamo riguardare al tempo pandemico con maggior obiettività: sarebbe un errore non fermarsi a riflettere e archiviare tutto velocemente, qualcosa è cambiato e vale la pena di soffermarsi e capire quanto è accaduto e come lo abbiamo vissuto, non solo con uno sguardo retrospettivo ma soprattutto per capire cosa abbiamo imparato e quali prospettive di riflessione si aprono a partire dal ruolo della chiesa locale.
L’occasione per fare un’analisi sociologica su Covid e Chiese si è concretizzata con la mia tesi di laurea in Sociologia dal titolo Essere chiesa in tempo di Covid-19. Le Chiese Battiste di Cagliari e Torino. Una ricerca qualitativa, che ho discusso a marzo di quest’anno. Lo studio essenzialmente vuole indagare da diverse prospettive, come i membri di chiesa e i pastori e pastore abbiano vissuto il culto online e che cosa abbia significato per le nostre chiese. A una prima domanda se ne aggiunge una seconda: che cosa abbiamo imparato come chiese da questa esperienza e quali prospettive di riflessione si aprono riguardo al tema dell’ecclesiologia?
Questi sono alcuni temi di indagine ai quali si è cercato di dare una risposta attraverso interviste discorsive fatte ai membri delle due chiese e al presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi). Le interviste sono state analizzate attraverso due piani teorici: quello narratologico di A. J. Greimas1, secondo il quale al centro di ogni narrazione vi è una relazione tra il soggetto e l’oggetto di valore, in questo caso l’annuncio dell’Evangelo; e il secondo piano teorico, costituito dalla sociologia relazionale di P. Bourdieu2 con i concetti di campo, habitus e capitale.
Le due chiese presentano numerose analogie, oltre a essere parte dell’Ucebi sono coeve (sorte intorno al 1870), tuttavia presentano una differenza significativa legata al contesto sociale e geografico: la chiesa di Cagliari è l’unica chiesa del protestantesimo storico presente in Sardegna, mentre la chiesa di Torino – via Passalacqua è inserita in un contesto religioso plurale composto da altre chiese battiste ed è significativa la presenza della Chiesa valdese; mi è dunque parso interessante osservare come le due chiese storiche abbiano vissuto e affrontato la pandemia Covid 19 nell’anno 2020.
Che cosa abbiamo imparato da questa esperienza?
Le due chiese hanno reagito con forza e creatività, sono state costrette a ripensare a sé stesse e a trasformarsi e anche nei momenti più difficili della pandemia la predicazione dell’Evangelo non è mancata. Si è riusciti a mantenere vive le relazioni comunitarie, cosa resa possibile traslando le due attività principali della chiesa, il culto e lo studio biblico, da una condizione in presenza a una condizione online. La difficoltà di non potersi incontrare ed esprimere anche fisicamente la propria esperienza di fede ha creato disorientamento tra i membri di chiesa e solo successivamente vi è stata una forma di adattamento alla nuova pratica religiosa.
Nella maggioranza dei casi, il culto online è stato accettato e apprezzato, ma si ritiene che questa modalità debba essere circoscritta al solo tempo emergenziale. Per quanto riguarda lo studio biblico online, molti ritengono che la sua qualità sia superiore a quella in presenza, tant’è che la maggioranza dei membri di chiesa auspica che tale modalità prosegua anche a emergenza conclusa. Abbiamo capito che la chiesa online non è meno chiesa di una chiesa in presenza, è una chiesa diversa! Essere chiesa in presenza è certamente la forma più alta, più forte ma non è l’unico modo di essere chiesa: si può ascoltare l’Evangelo, avere una relazione comunitaria anche se non si è fisicamente vicini. Il “prodotto religioso digitale” è il frutto del lavoro di pastori e pastore e della partecipazione dei membri di chiesa che ha necessitato di disponibilità e acquisizioni di nuove competenze: questa coralità è stata una delle chiavi del successo del culto online e ha aiutato a migliorare le relazioni fraterne. Se dirigiamo lo sguardo verso i pastori e le pastore, ci accorgiamo che anche per loro non è stato semplice: hanno ripensato al proprio lavoro, modificato le liturgie e ridotto il tempo del sermone, sperimentato nuove strategie di incontro e di relazione. In questo rinnovamento obbligato, un punto di forza delle chiese è stata la collegialità, la cooperazione tra loro e il Consiglio di Chiesa.
L’esperienza pandemica e il conseguente uso della rete hanno modificato il tradizionale assetto comunitario e attraverso la sperimentazione di un nuovo modo di essere chiesa è stato possibile raggiungere molte più̀ persone, avere una maggior visibilità̀ e dilatare i confini della comunità; dunque, ne è nata una chiesa con le pareti di cristallo dove, grazie a Internet, tutti possono vedere che cosa accade all’interno e ascoltare il messaggio evangelico.
La pandemia ci porta inevitabilmente a riflettere sulla comunità e a chiederci se e quanto ha ancora senso parlare della comunità locale delimitata spazialmente. La definizione di chiesa locale forse merita di essere rivista e approfondita, verificando la tenuta ecclesiologica della propria autonomia locale anche in relazione con le altre chiese a cui la comunità intende collegarsi. Vale la pena riflettere e interrogarsi su che cosa è stato e cogliere quanto di buono abbiamo fatto, affinché le energie e la creatività che abbiamo dimostrato di avere non vengano disperse ma piuttosto impiegate nei progetti futuri delle nostre chiese.
1. Algirdas Julien Greimas (1917-1992), linguista e semiologo lituano poi stabilitosi in Francia.
2. Pierre Bourdieu (1930-2002), sociologo francese.