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Non vergognarsi del vangelo

Un giorno una parola – commento a Romani 1, 16

La mia lingua celebrerà la tua parola, perché tutti i tuoi comandamenti sono giustizia
Salmo 119, 172

Non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede
Romani 1, 16


Accostare predicazione e sentimento di vergogna può sembrare il classico atteggiamento della persona religiosa che si piange addosso perché il mondo circostante non la capisce né la apprezza. Una posa che tutti gli ambienti religiosi conoscono e, ammettiamolo, talvolta coltivano anche: gli altri non mi capiscono né apprezzano!

Eppure, questo non è il significato delle parole dell’apostolo Paolo: piuttosto è la consapevolezza di annunciare un messaggio inatteso e anche potenzialmente impopolare. Perché non è fondato né su una serie di regole tradizionali e codificate, né su un’astratta ricerca di una verità metafisica. La buona notizia – questo significa la parola evangelo – trae la sua origine dall’azione di Dio per il mondo nella persona di Gesù, il quale, sappiamo, non ha solamente detto cose sagge e compiuto atti potenti, che non è stato essenzialmente accolto dai più, ma è stato crocefisso. Ha patito una morte vergognosa, tradito e abbandonato da tutti e soprattutto dai suoi compagni di viaggio, che temevano di essere associati al medesimo destino: di fronte al Calvario la “vergogna” non è un sentimento imbarazzante, è il timore per la propria vita, anche comprensibile.

Eppure, Paolo vede nella croce qualche cosa per cui val la pena rischiare – o, come avrebbe detto il Maestro, “perdere le propria vita”: la certezza della salvezza che deriva dall’essere accostato a Gesù è più forte del timore per il futuro. È la certezza che il futuro sarà di bene e non di male.

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