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Togliete la pietra!

Verso Pasqua: la risurrezione di Lazzaro in una meditazione tenuta da Jacopo Lombardini per i partigiani. La vita eterna e l’anticipazione che Gesù ci offre, e che ci sottrae a ogni fatalismo

La risurrezione di Lazzaro, amico di Gesù e fratello di Marta e Maria (Giovanni 11) è l’ultimo dei sette segni miracolosi che costituiscono l’ossatura della prima parte del Vangelo di Giovanni: un segno che anticipa la risurrezione di Cristo e ne rivela il significato. Quando Gesù arriva a Betania, il villaggio dove i tre fratelli abitavano, Lazzaro era già morto, da quattro giorni nel sepolcro. Prima di compiere il miracolo che riporterà Lazzaro in vita, Gesù rivolge ai presenti questo invito: «Togliete la pietra!» (v. 39).

Il commento più incisivo a queste parole l’ho trovato non in un commentario biblico, ma nel diario della Resistenza di Jacopo Lombardini, insegnante e predicatore metodista originario di Gragnana (Carrara), trasferitosi nelle valli valdesi perché, a causa del suo antifascismo, non poteva più insegnare nelle scuole pubbliche. Con gli eventi dell’estate 1943, Lombardini fu costretto a lasciare il Convitto valdese di Torre Pellice e a rifugiarsi sui monti con i partigiani, diventando “commissario politico” e al tempo stesso cappellano evangelico delle brigate “Giustizia e libertà”. Arrestato nella primavera del 1944, fu ucciso nella camera a gas del campo di concentramento di Mauthausen il 25 aprile 1945.

Nel suo diario, Lombardini riferisce di un culto tenuto con i partigiani nella stalla di una borgata di Bobbio Pellice nell’autunno del 1943, esattamente ottant’anni fa, e centrato proprio sull’invito di Gesù a «togliere la pietra». «Abbiamo tenuto la nostra riunione, come al solito, nella stalla. Erano presenti i giovani della Banda di Bobbio (Pellice)… Sono tutti valdesi ed io tengo loro un breve culto… I giovani mi seguono con attenzione e con quel sacro rispetto al quale sono abituati nel Tempio. Che importa se meditiamo il Vangelo e se preghiamo in una stalla? Le nostre anime sono lì, saziate della Parola, più che se fossimo in una cattedrale. Prendo per testo, nell’Evangelo di San Giovanni, al capitolo undici, le parole di Gesù davanti alla tomba di Lazzaro che Egli vuole resuscitare. Togliete via la pietra!

Gesù opera ancora, in mezzo all’umanità: Egli, come nella risurrezione di Lazzaro, vuole compiere la massima parte e la più difficile dell’opera; ma nello stesso tempo ci chiama a cooperare con Lui al miracolo, secondo le nostre forze o meglio secondo la nostra debolezza. Egli risuscita, ma ecco ancora il comando: Togliete la pietra! Egli vuole operare nel nostro cuore, nella nostra patria, in mezzo all’umanità. Egli risusciterà la vita dove è la morte, ma per questo occorre che ciascuno, per quanto può, lavori a togliere la pietra che chiude il sepolcro» (cit. in S. Mastrogiovanni, Un protestante nella resistenza: Jacopo Lombardini, Claudiana, Torino 1985, p. 139-40).
Lombardini aveva ragione a sottolineare la particolarità del comando di Gesù: «Togliete la pietra!» Gesù, in fondo, non avrebbe avuto bisogno della cooperazione umana per resuscitare Lazzaro.

Come nella leggenda di Alì Babà e i quaranta ladroni, avrebbe potuto dire semplicemente alla pietra: «Apriti, Sesamo». E invece no: è Gesù che opera la risurrezione, eppure vuole che noi togliamo la pietra. Come dobbiamo intendere questo invito? Come una sfida a credere in una realtà diversa, ad aver fede nella novità di Dio che irrompe nella nostra storia.

È importante capire che non si tratta di un invito all’“attivismo»”, ma alla fede tradotta in azione. Non a caso la persona sfidata da Gesù in questo brano è Marta, che sappiamo essere una campionessa dell’attivismo (cfr. Luca 10, 41) e che, con il suo senso pratico, si oppone all’invito e risponde: «Signore, egli puzza già, perché siamo al quarto giorno». Ma Gesù ribatte: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?».

«Se credi»: dunque più che un appello all’azione, «togliete la pietra» è un invito a credere nel progetto di Dio che crea una vita nuova, anche quando a noi pare impossibile. Eppure Marta non è un’incredula. In Giovanni 11 confessa la sua fede in Gesù come il Cristo (v. 27) e nella risurrezione: «Lo so che [mio fratello] risusciterà, nella risurrezione, nell’ultimo giorno» (v. 24). Ecco il nodo: alla fede di Marta, che pure è “dogmaticamente corretta”, manca la dimensione dell’attualità, del presente. È una fede per così dire confinata nel futuro, nell’aldilà, nella dimensione della fine dei tempi. In un domani lontano, concede Marta, forse le cose potranno cambiare: oggi non c’è niente da fare. E invece chi nella fede accoglie la vita “eterna” può gustarne da subito un’anticipazione, e viene sottratto al fatalismo.

Togliete la pietra! Accogliendo l’invito di Gesù, Jacopo Lombardini ha creduto in una realtà diversa, e ha vissuto nel presente adoperandosi per la giustizia e la libertà e sfidando il regime fascista e gli occupanti nazisti. Lo stesso vale per noi oggi, come un invito ad avere fede e a superare ogni fatalismo, anche quello che si ammanta di “sano” realismo, di buon senso pratico – per fare un solo esempio, davanti alla realtà di una guerra che vediamo come ineluttabile.

Foto: Jacopo Lombardini con un gruppo di giovani. Fonte: Lorenzo Tibaldo, Il viandante della libertà. Jacopo Lombardini (1892-1945), Claudiana, Torino 2011

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