Rifiuti, il cambiamento è nei giovani
04 gennaio 2023
Con Guido Viale facciamo un bilancio e diamo uno sguardo al futuro, a che cosa andremo incontro, con la certezza di non avere più tempo per salvare il pianeta
È in distribuzione il numero di gennaio del mensile free press L'Eco delle valli valdesi, con un'inchiesta dedicata alla raccolta differenziata. Siamo virtuosi o no? Qui uno degli articoli del dossier, l'intervista al sociologo Guido Viale. Buona lettura.
Possibile che di rifiuti, e allargando molto il campo, di ambiente e di clima, si parli ancora soprattutto durante emergenze di cronaca o vertici quali le varie Cop, i cui obiettivi, definiti ogni volta vincolanti, vengono puntualmente ignorati o disattesi?
Ci facciamo aiutare nei ragionamenti dal sociologo Guido Viale, che fra i suoi multiformi interessi ha dedicato anni allo studio e alle proposte operative per un corretto approccio al grande tema della gestione dei rifiuti prodotti dalle nostre società.
«La consapevolezza dell’urgenza della crisi climatica e ambientale nei nostri politici, e non parlo solo di Italia, ma di Europa e del mondo intero, è disastrosa. Nessun elemento messo in campo ci può far sperare di raggiungere in tempo utile gli obiettivi fissati per il 2030 per il contenimento a meno di 1,5 gradi del riscaldamento della temperatura terrestre in epoca industriale. Dentro questa crisi di consapevolezza generale delle classi dirigenti, dove includo anche quella imprenditoriale e in larga parte quella accademica, il tema dei rifiuti occupa un ruolo non indifferente. È stato trattato a lungo come una questione marginale, di cui anzi bisognava vergognarsi di occuparsi. Da tempo, è invece diventato un problema gigantesco».
Eppure gli allarmi in tal senso non sono cosa di ieri appunto.
«Cito una data: il 1992, che non è solo l’anno del vertice di Rio, la prima conferenza dei leader mondiali sul clima, ma è l’anno dell’uscita del secondo rapporto del Mit (Istituto di tecnologia del Massachusetts, ndr), quello che nel 1972 era stato il rapporto della associazione Club di Roma sui limiti della crescita. Già nel 1972 si era già cercato di avvertire le classi dirigenti di tutto il mondo che il pianeta non era una riserva infinita di risorse. 20 anni dopo quegli stessi studiosi hanno sottolineato come il problema della reperibilità delle risorse poteva forse essere procrastinato grazie alle innovazioni e alle scoperte fatte, mentre il vero rischio era di finire soffocati dagli scarti, dai rifiuti, e fra questi il principale è la CO2, cioè il rifiuto principe di qualsiasi processo di combustione; e come sappiamo il sistema industriale si regge sostanzialmente su processi di combustione. La consapevolezza accademica risale quindi come minimo ad allora, però nella opinione corrente, soprattutto nei modi in cui i media e i politici trattano il problema, anche là dove si propone in tutta la sua gravità come nella terra dei fuochi, non sembra assolutamente che ci sia contezza della gravità».
Sviluppo sostenibile, capitalismo dal volto umano, politici e media hanno avuto un ruolo chiave nel disegnare un modello che ha dimostrato di non funzionare. Ancora oggi parlare di moderazione di consumi, per non dire di decrescita, sembra un’eresia.
«Si, c’è una notevole schizofrenia in molti perché da un lato si parla di transizione e conversione ecologica, ma non per contenere lo sviluppo e la crescita, quanto l’aggressione alle risorse della terra, cioè creare uno sviluppo che sia più parsimonioso nell’uso delle risorse, ma poi sulle questioni urgenti crescita e sviluppo restano le parole più gettonate, ripetute sempre, e si capisce che chi le pronuncia non riesce a uscire d questa logica. Tutte le generazioni tranne le ultime sono cresciute in una cultura che vedeva nello sviluppo la possibilità di una continuità ininterrotta e non avevano una cultura del limite. Devo dire che le nuove leve, quelle che si identificano nei gruppi Fridays for future o Extinction Rebellion o Ultima Generazione , quelle che hanno fatto propria il tema della crisi ambientale, dimostrano di essere perfettamente consapevoli della gravità del problema. Sono giovani cresciuti in un ambiente in cui lo sviluppo non ha più niente da dir loro. Però fra ciò e il trovare una articolazione pratica operativa per agire ce ne passa ancora; ma per necessario ricambio generazionale prima o dopo saranno loro a dover prendere decisioni forti su questi temi».
Anche l’Europa sembra soffrire della frattura fra volontà e azione concreta.
«Esatto. L’ Europa ufficialmente ha una politica molto avanzata in campo ambientale ma a mano a mano che si scende nelle misure operative si vede quanto esse in realtà siano tolleranti e lasche nei confronti degli impegni presi. Di fronte alla crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina, (guerra che a sua volta è causa di enorme inquinamento, di CO2 in primis), abbiamo visto che la risposta dell’Europa è stata cercare altre fonti altrove, petrolio e gas, e investire pesantemente addirittura con rigassificatori, pipelines, investimenti che devono funzionare e rendere per almeno 20 o 30 anni, carbone, che violano completamente gli impegni assunti e proclamati anche solo pochi mesi fa. Siamo in una situazione veramente drammatica».
Sono passati 25 anni dal 1997, dal decreto Ronchi che ha introdotto in Italia la raccolta differenziata: le discariche sono meno sature di un tempo?
«Le discariche sono decisamente meno sature anche se hanno ancora un ruolo e in alcuni luoghi sono ancora l’unica soluzione adottata. Purtroppo troppo spesso parliamo ancora di inceneritori, che non fanno più da nessuna parte in Europa occidentale, perché esistono oramai tecniche di riciclo, di separazione dei rifiuti molto efficienti. Anche in Italia abbiamo dimostrato di raggiungere obiettivi di grande eccellenza nell’ambito del riciclo e della raccolta differenziata in alcune aree; resta comunque il problema che molto spesso poi questi materiali è difficile rimetterli in circolazione in maniera economicamente vantaggiosa anche a causa dei lacci e dei paletti che strozzano chi vuole fare impresa nel nostro paese».
«Il problema – continua Viale - è che manca troppo spesso la capacità di valutare le potenzialità di una città pulita e ordinata dove i cittadini sono coinvolti in prima persona: per esempio nel riuso di prodotti che potrebbero essere ancora utili, ruolo che dovrebbe essere delle oasi ecologiche, che potrebbero aiutare a sviluppare dal basso una cultura del riuso, del riciclo e invece sono ancora in pratica concepite come luogo dove abbandonare i propri scarti».
«Più volte con i colleghi e le colleghe abbiamo elaborato e messo a punto progetti incentrati proprio sulla funzione pedagogica della gestione dei rifiuti, cioè una maniera per entrare in modo quotidiano all’interno dei processi economici, capirli, governarli, a partire da quello che ci rimane fra le mani.
Se entriamo in un supermercato siamo abbagliati dall’aura attorno a un prodotto, la marca, la pubblicità; quando invece abbiamo fra le mani un rifiuto lui è nudo; a partire da lì possiamo ragionare sui processi economici che lo governano: da dove viene, da dove sono state estratte le materie prime, che percorso ha fatto, quante volte ha percorso il giro della terra, dove va a finire, che conseguenze ha sulla biodiversità. Tutti interrogativi che hanno un’elevatissima valenza culturale e anche pedagogica che attraverso la gestione dei rifiuti potrebbero essere introdotti in maniera molto più operativa dentro la cultura contemporanea».
Foto: Extinction Rebellion: una manifestazione a Pian del Re per sensibilizzare sui cambiamenti climatici – foto Extinction Rebellion