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«Una storia mancata»

Percorsi introspettivi attraverso la fotografia in un master di Moira Ricci: la testimonianza di Martina Caroli

Martina Caroli, fotografa, membro della chiesa battista di Ariccia e neo-segretaria del Movimento femminile evangelico battista, ci racconta la sua partecipazione al workshop «Una storia mancata» della fotografa e artista Moira Ricci. Nel suo lavoro più noto, 20.12.53-10.08.04 (lo si trova facilmente su Internet), ha inserito con perfetta mimetica la propria immagine in alcune foto di famiglia, in una sorta di dialogo ormai impossibile con la madre scomparsa. Un lavoro d’intensa introspezione, che ha ispirato anche le 14 fotografe partecipanti, da varie parti d’Italia e dall’estero, diverse delle quali si sono concentrate proprio sulla perdita della madre. Obiettivo del master, di un anno, era infatti raccontare l’assenza, di una storia o di una persona, in modo personale e innovativo.

Il master si è svolto nel 2021, ricorda Martina, «in piena pandemia, quindi completamente online: è stato quasi un percorso di autoanalisi, tra fotografia e autobiografia, ognuna ha sviluppato la sua storia ma in un certo senso è stato un lavoro corale, guidate da Moira che è veramente speciale, ha fatto in modo che tutte partecipassero attivamente, ci ha insegnato a non avere paura di proporre, di interagire, al di là della tecnica, di cui peraltro abbiamo parlato pochissimo».

Con una materia così delicata, così legata all’esperienza e all’emotività personale, è stato fondamentale l’atteggiamento umile, fantasioso e ironico di Moira, ricorda Caroli, lontano dagli atteggiamenti di certi docenti che, attuando una sorta di “terapia d’urto”, hanno un effetto mortificante e castrante verso gli allievi.

Martina ha deciso di parlare del suo diabete: «Ho cominciando dal video, raccontando i suoni degli strumenti che mi accompagnano durante la giornata, modificandoli e amplificandoli, e oscurando la mia immagine», definita da una fila di luci. L’effetto è straniante e misterioso, anche perché i suoni sono sconosciuti a un “profano”. «Le foto sono invece nate dalla volontà di rappresentare questi piccoli oggetti come se fossero giganteschi, il loro essere così grandi simboleggia sia il peso della patologia nella vita di una persona, sia l’aiuto che questi strumenti danno. Ho voluto rappresentare la malattia in modo leggero, lasciando libertà all’interpretazione di chi guarda le foto: io le vedo anche con un po’ di ironia e leggerezza, ma per qualcun altro possono rappresentare qualcosa di angoscioso e incombente. Ho cercato di non dare una lettura univoca».

L’impressione, guardando le foto, evocative e un po’ spiazzanti, è che siano scattate nello spazio o su pianeti sconosciuti (invece si tratta magari di pochi centimetri di spiaggia o di greto), e questa ispirazione “fantascientifica”, non priva di ironia, riecheggia fin dal titolo, Addio, e grazie per tutte le beta-cellule, una citazione dal libro dello scrittore Douglas Adams Addio, e grazie per tutto il pesce (1984, uno dei sequel di Guida galattica per gli autostoppisti), la frase che dicono i delfini quando lasciano la terra.

«Le beta-cellule – spiega Martina, – sono le cellule che un diabetico non produce più a causa di questa malattia autoimmune. Tutte le immagini sono mie, quelle degli oggetti, gli sfondi, quelle di me stessa, che ho messo insieme con un grande lavoro di post-produzione. Ci sono immagini più simboliche, come quella dell’acqua, che è un elemento molto importante nella vita di una persona diabetica, ma il senso è che questi oggetti diventano qualcos’altro. Oltre a queste 12 immagini, c’è un’immagine grafica che riproduce le linee della glicemia, in situazione di normalità, iperglicemia e ipoglicemia, attraverso frasi che io dico o penso in quei momenti».

Vi consigliamo, per conoscere meglio questo e gli altri lavori, di visitare il sito https://www.unastoriamancata.it

 

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