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Disimparare la guerra, imparare la pace

Il mondo in cui viviamo è ancora pieno di conflitti: affidiamo a Dio il nostro futuro

«Parola che Isaia, figlio di Amots, ebbe in visione, riguardo a Giuda e a Gerusalemme. Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa del SIGNORE si ergerà sulla vetta dei monti, e sarà elevato al di sopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno a esso. Molti popoli vi accorreranno, e diranno: “Venite, saliamo al monte del SIGNORE, alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri”. Da Sion, infatti, uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola del SIGNORE. Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l’arbitro fra molti popoli; ed essi trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro, e le loro lance, in falci;una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra. Casa di Giacobbe, venite, e camminiamo alla luce del SIGNORE!». (Isaia 2, 1-5)

La profezia di Isaia immagina un luogo e un tempo nei quali le nazioni e i popoli della Terra smetteranno di imparare a farsi la guerra e gli oggetti bellici si trasformeranno in oggetti per costruire un mondo migliore. Tuttavia, questo luogo e questo tempo nei quali cesseranno ogni guerra, ogni violenza, ogni ingiustizia non ci sono ancora dati. Ancora viviamo in un mondo pieno di conflitti e di guerre.

 

Ancora viviamo in un mondo dove regnano l’egoismo, l’orgoglio, l’individualismo, lo sfruttamento, l’indifferenza. Ancora viviamo in un mondo dove ogni giorno è facile cadere preda di atteggiamenti distruttivi che rispondono proprio a delle logiche di guerra piuttosto che a delle logiche di pace. Eppure, la profezia di Isaia ci invita ad aprirci a una prospettiva diversa, ci invita a guardare al futuro attraverso lo sguardo di Dio, ci invita ad affidare il nostro futuro a Dio e ci fornisce alcune indicazioni per poter accogliere questa visione di pace nelle nostre vite e farla nostra.

Una prima indicazione seminata nel testo si trova verso la fine, quando si dice: «non impareranno più la guerra». Dunque, un’affermazione che ribadisce come la guerra si impari. In effetti, spesso si usa l’espressione l’“arte della guerra” e, come ogni arte, anche la guerra ha bisogno di maestri che la insegnino. La guerra è un’arte che si impara e, come si impara, si può quindi disimparare. Come si impara a ferire con armi sempre più meschine, così si può disimparare a farlo. Come si può ferire una persona, un famigliare, un amico con parole taglienti e gesti vendicativi, così si può disimparare a farlo.

E come disimparare l’arte della guerra? Come disimparare a stare sul piede di guerra? La profezia di Isaia ci fornisce una seconda indicazione: «essi trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro, e le loro lance, in falci». Dunque, gli oggetti usati per distruggere e ferire diventano strumenti per costruire e coltivare. La Parola del Signore ci insegna a trasformare ciò che uccide in ciò che fa nascere la nuova vita: dalle spade e le lance ai vomeri d’aratro e le falci. Questa trasformazione non avviene buttando via i vecchi “attrezzi” della nostra vita, i nostri modi sbagliati di parlare e di agire del passato; piuttosto, questa trasformazione avviene con una riconversione dei vecchi “attrezzi” e dei vecchi modi di rapportarci al nostro prossimo. Usando una metafora: come le industrie belliche hanno bisogno di una riconversione interna dei propri prodotti, così anche noi abbiamo bisogno di una continua riconversione interna delle nostre parole e delle nostre azioni. Anche noi abbiamo bisogno di una costante riconversione dei nostri atteggiamenti distruttivi in atteggiamenti costruttivi.

Detto ciò, questa profezia parla di noi – come essere umani, come popoli, come nazioni della Terra – ma, allo stesso tempo, parla di Dio e ci fornisce una terza e ultima indicazione fondamentale riferita proprio al Signore: «Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l’arbitro fra molti popoli». Questa visione ci fornisce l’immagine di un Dio arbitro che detta le regole per la convivenza in campo. Un Dio arbitro che ha il compito di giudicare e di fischiare il fallo di una nazione verso l’altra, di un popolo verso l’altro, di un individuo verso l’altro. Un Dio arbitro che non cerca di alimentare la guerra, che non cerca la vittoria di un popolo su un altro (come a volte si dice, strumentalizzandolo), ma che cerca la mediazione, la giustizia, la correttezza. Un Dio arbitro, il cui monte si ergerà sui monti e i colli delle nazioni come punto di riferimento per andare ad ascoltare la Parola e la Legge dell’amore e seguire insieme sentieri e vie di pace.

Allora, noi cristiani e cristiane che viviamo questo tempo di Avvento sappiamo che questo Dio arbitro, questo Dio mediatore, sta venendo di nuovo nelle nostre vite. Non viene con un esercito armato, non viene per distruggere, non viene per colpirci; piuttosto, viene nascendo bambino, viene disarmato, viene per amarci. Si tratta di un Dio che nasce nel bambino Gesù con ancora tutto da imparare. Nel bambino Gesù appena nato, ancora non in grado di ferire con armi, con parole e con gesti, si cela un implicito messaggio a tornare neonati per disimparare la guerra e imparare la pace.

Solamente così, disimparando la guerra e imparando la pace, possiamo camminare insieme alla luce del Signore. Camminiamo insieme per trasformare le nostre armi in strumenti. Camminiamo insieme per costruire un mondo governato dalla pace e dall’amore di Dio.

 

Foto di Bicanski da Pixnio

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