Giuseppe Di Vittorio. Sindacalista, evangelico e antifascista
03 novembre 2022
Il 3 novembre 1957 moriva (all’età di sessantacinque anni) il sindacalista Giuseppe Di Vittorio, maestro di dignità
«Mentre la situazione internazionale si aggrava di ora in ora, sotto le minacce intollerabili degli aggressori fascisti, il delirio razzista è giunto al parossismo in Italia. Tutti i mezzi potentissimi di pressione morale e materiale di cui si è munito il regime, sono stati messi in azione per creare un’atmosfera di progrom. Nella disonorante campagna di odio contro gli ebrei - contro gli stessi ebrei italiani, che sono nati in Italia, che hanno compiuto il loro servizio militare in Italia, che sono degli onesti cittadini italiani -, non vi è ritegno, non vi sono limiti, né pudore. La vigliaccheria garantita dalla protezione senza riserve dello Stato, si ammanta della pelle del leone e si accanisce con estrema ferocia contro i deboli, contro coloro che sono stati spogliati d’ogni diritto e messi al bando come lebbrosi», così scriveva nell’articolo dal titolo «In aiuto degli ebrei italiani!» su La voce degli italiani il 7 settembre del 1938 l’intellettuale e sindacalista Giuseppe Di Vittorio.
All’indomani dell’emanazione delle leggi razziali fasciste del 1938, Di Vittorio «elevò, alto e forte, il suo grido di sdegno. In quegli anni era esule a Parigi e dirigeva il giornale «La voce degli italiani», da cui sono tratti i due articoli che la Casa di Vittorio rende oggi fruibili sul sito online.
Oggi ricordiamo Di Vittorio, perché era il «3 novembre 1957 quando (all’età di sessantacinque anni) il viaggio della sua salma, da Lecco a Roma, dovette ad ogni stazione ferroviaria sostare più a lungo per la folla che, a pugno chiuso, si riversò nelle piazze, per «salutare Peppino…».
Giuseppe Di Vittorio nacque nel 1892 da una famiglia evangelica di braccianti agricoli pugliesi, all’età di quindici anni inizia la sua attività politica e sindacale. Rivoluzionario, poi iscritto al partito comunista (soldato nella Prima Guerra Mondiale) è un antifascista militante, per questo in esilio durante gli anni del regime.
Di Vittorio partecipa anche come volontario antifranchista alla guerra civile spagnola e nel 1943 (alla caduta del fascismo), è tra i primi fondatori della Cgil unitaria.
Nel 1946 partecipa eletto all’Assemblea Costituente.
Dal 1944, sino alla sua morte, Di Vittorio ricoprì la carica di segretario generale della Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori.
Nato a Cerignola (Foggia) l’11 agosto (registrato all’anagrafe il 13) del 1892 «apparteneva a una di quelle piccole comunità evangeliche, non insolite in Puglia, promosse da emigrati negli Stati Uniti», scrive su Treccani.it Pero Craveri -, Di Vittorio
diverrà una figura fondamentale nella storia del sindacalismo moderno.
In giovane età si era formato e aveva frequentato la piccola scuola domenicale del comune del foggiano.
Era dotato di uno straordinario carisma. Il padre Michele era «curatolo» (bracciante specializzato con compiti di fiducia) presso un’azienda agricola. La madre si chiamava Rosa Errico e la sorella più grande Stella.
Di Vittorio, dirigente sindacale e uomo politico, sin dai primi anni del Novecento guidò le lotte contadine in Puglia.
Nell’ultimo discorso, pronunciato poco prima della sua morte (per infarto) al convegno dei dirigenti e degli attivisti della Camera del Lavoro di Lecco (appunto il 3 novembre 1957), Di Vittorio aveva esortato i convenuti a «lottare per l’equità».
«L’affermazione del valore sociale e culturale del lavoro è stato il principio che ha sempre ispirato e accompagnato l’azione sindacale di Di Vittorio - si legge sul sito dell’Associazione Casa di Vittorio -; l’autonomia, la democrazia e l’unità del sindacato sono stati i suoi principali obiettivi. La Cgil doveva restare rigorosamente plurale e apartitica, senza per questo venire meno ad una sua naturale vocazione politica, centrata sulla difesa e lo sviluppo della democrazia e della Costituzione repubblicana, che aveva nella solidarietà e nei diritti i suoi principali valori. Pur vivendo una stagione assai difficile, segnata da tensioni ideologiche stridenti legate al sottile equilibrio bipolare della guerra fredda, Di Vittorio lavorò sempre per l’unità di tutti i lavoratori, dalla quale faceva derivare anche l’unità sindacale; a suo avviso, solo in questo modo sarebbe stato possibile difendere l’interesse generale della classe lavoratrice, lottando efficacemente per la sua emancipazione».