Iran: per non dimenticare, questa volta
27 settembre 2022
Crescono le proteste in tutto il paese a seguito della morte della giovane Mahsa Amini. Protagoniste delle manifestazioni soprattutto le donne iraniane che chiedono di accendere i riflettori sulla loro situazione e di non lasciarle sole
L’autrice, antropologa culturale e giornalista, interverrà sabato 1 ottobre al Festival delle Migrazioni che affronterà i temi: guerra, cambiamenti climatici e questione di genere. Il Festival, che si apre oggi a Torino, vede Riforma-L’Eco delle valli valdesi tra i partner e promotori degli eventi in programma.
L’Afghanistan, la questione curda, la Siria e lo Yemen? Tutte tragedie frettolosamente dimenticate.
La morte di Mahsa Amini, la ragazza ventiduenne uccisa dalla polizia morale a seguito delle percosse perché non indossava in modo appropriato il velo islamico, è stata la miccia che ha fatto scatenare l’indignazione di decine di migliaia di persone in tutto l’Iran. In particolare sono le donne al centro delle manifestazioni in Iran, molte di loro si sono tolte il velo davanti alle autorità e altre in segno di protesta hanno tagliato i loro capelli. Proteste pacifiche che nascono per l’imposizione del velo islamico e si estendono a tutte le violazioni dei diritti umani che l’Iran ha costantemente violato in 44 anni di Regime.
Dalla Rivoluzione Islamica del 1979 a oggi sono state tante le discriminazioni nei confronti della popolazione e in particolare delle donne. In molte città, compresa la capitale, in questi giorni le forze di sicurezza hanno risposto alle proteste aprendo il fuoco contro i manifestanti. Purtroppo le proteste non si fermeranno nei prossimi giorni nonostante il Regime non sia disposto a tendere una mano. Intensificherà la repressione. «Il Paese – ha detto il presidente Ebrahim Risi – deve trattare in modo deciso con coloro che si oppongono alla sicurezza e alla tranquillità del Paese».
In molte città, tra cui Teheran, la capitale, le forze di sicurezza hanno risposto aprendo il fuoco sulla folla. Sul boulevard Ferdous e nel complesso di appartamenti Shahrak Ekbatan a Teheran, gli agenti hanno sparato alle finestre; nella città di Rasht hanno lanciato gas lacrimogeni negli appartamenti, secondo testimoni e video sui social media.
Ai tanti morti di questi giorni si è aggiunta Hadis Najafi, una ventenne diventata un simbolo online delle proteste contro la morte di Mahsa Amini in Iran. Sarebbe stato uccisa dalle forze di sicurezza iraniane con sei colpi, durante manifestazioni nella città di Karaj, vicino a Teheran. I capelli biondi di Najafi sono apparsi scoperti in una clip diventata virale sui social media, che mostrava la giovane donna di fronte alla polizia iraniana senza indossare il velo, cosa vietata dalla legge in Iran. Indossare l’hijab in pubblico è obbligatorio per le donne nel paese, indipendentemente dalla loro fede o nazionalità, da qualche anno dopo la rivoluzione islamica del 1979.
Njafi, come molte altre donne iraniane negli ultimi giorni, stava affrontando agenti di polizia con i capelli scoperti, ed è stata ripresa da una telecamera mentre li legava con un elastico. La morte di questa giovane ha aumentato il senso di rabbia nei manifestanti che hanno continuato nelle proteste. Il popolo iraniano da anni accumula profondi risentimenti e rabbia, in particolare tra i giovani, in risposta alla repressione ordinata dal Presidente, che ha preso di mira le donne.
A questo, si aggiunge una lista di lamentele nel corso degli anni per la corruzione, la cattiva gestione dell’economia, la gestione inadeguata del Covid e la diffusa repressione politica. I problemi sono persistiti sotto Raisi, che è salito al potere in un’elezione in cui tutti i potenziali contendenti sono scomparsi prima del voto, in particolare quelli della fazione riformista.
La solidarietà nei confronti del popolo iraniano sta arrivando da più parti. Sono tantissimi gli attori, i musicisti, gli intellettuali che si sono schierati a favore di un rovesciamento del regime. Molti di nazionalità iraniana, altri uomini e donne che hanno a cuore la libertà di un popolo oppresso.
Domenica, è stato riferito che Anonymous, il collettivo internazionale di hacker attivisti noto per i suoi numerosi attacchi informatici contro governi, istituzioni e agenzie governative, ha violato il database della Corte dei conti suprema iranianae ha rilasciato i dati di tutti i membri del parlamento iraniano, compresi i numeri dei loro telefoni.
Non sappiamo come andrà a finire questa brutta vicenda, ma sappiamo che è una storia di resistenza, di resilienza femminile. Una cosa è invece evidente: le donne iraniane ci chiedono di accendere i riflettori sulla loro situazione e di non lasciarle sole; ci chiedono di essere noi stesse e noi stessi “scorta mediatica” delle loro vicende, delle loro paure, delle loro sofferenze.
Possiamo farlo? Sì, pubblicando i loro pensieri, diffondendo i loro articoli e i loro post sui nostri canali web, dato che i loro sono vigilati e spesso oscurati. Per farlo, però, è necessaria molta attenzione, cura, per non metterle a rischio. Non dimenticare, questa volta, dev’essere l’imperativo per abbattere il muro dell’indifferenza.
* Antropologa culturale e giornalista