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«Dio è un artista. Dio è un poeta».

Presentato a Torre Pellice il libro di Paolo Ricca «Dio. Apologia»

Ripartire da Dio, rimettere Dio al centro delle riflessioni e delle vite degli individui e delle chiese: di questo si è parlato alla vigilia dell’Assemblea-Sinodo, sabato 20 agosto, nella Galleria comunale “Filippo Scroppo”, prestigioso sfondo dell’affollata presentazione di «Dio. Apologia», dodicesimo volume della collana “I libri di Paolo Ricca” dell’editrice Claudiana. L’autore è stato introdotto dalla pastora battista Lidia Maggi, che ha presentato il testo come una mano tesa, che racconta sinteticamente il mondo che ha cercato di emanciparsi da Dio e la visione su Dio delle altre religioni. In mezzo c’è una riflessione che guarda all’orizzonte biblico, per recuperare una “grammatica” per parlare di Dio. C’è, infatti, sottolinea Maggi, una sorta di analfabetismo di ritorno sulla Bibbia. Per affrontare la questione di Dio, Ricca ha scelto di impreziosire il libro con una struttura insolita per un saggio di teologia, prevedendo un “preludio”, un “interludio” e un “postludio”, ovvero citazioni da testi importanti della critica al Dio dei cristiani, della risposta della chiesa e della cultura ebraica contemporanea.

«Dio è un artista. Dio è un poeta», così ha esordito Ricca nel suo intervento, lamentando quanto poco consideriamo l’arte, uno dei modi attraverso cui Dio parla. «Il libro nasce da un’impressione: la chiesa non parla più di Dio. Non la Chiesa valdese o la Chiesa cattolica, ma nessuna chiesa. Spero di sbagliarmi». Certo, ma come si fa, quando un tratto fisso, a esempio, dei profeti è l’inadeguatezza e indegnità a parlare di Dio?

Ricca osserva che la chiesa è più occupata a parlare del proprio operare, su ciò che si è fatto e ciò che bisogna fare, ma «Gesù faceva diaconia dalla mattina alla sera e sette giorni su sette; neanche il Sabato si fermava; ma non ne parlava mai. Quando parlava, Gesù parlava del Regno di Dio». Non senza una certa dose di (amara) ironia, l’autore rileva che gli atei parlino con più passione di Dio (pur per screditarne la fede) rispetto ai cristiani, un po’ come «gli omosessuali sono più appassionati del matrimonio rispetto agli eterosessuali».

Ma chi o che cosa intende difendere l’autore con questa “apologia”? Non certamente Dio, che non ha necessità di essere difeso, e che anzi difende gli esseri umani, ma la fede cristiana, che Ricca ritiene essere una cosa buona, da coltivare e trasmettere: «mi fa una pena infinita vedere le chiese vuote. Piango su questa sconfitta. Quando vedo conventi che diventano hotel a cinque stelle, luoghi di preghiera che diventano luoghi di lusso, non posso accettarlo». Per questo il libro è una preghiera rivolta ai credenti a non buttare via un’eredità lunga secoli.

Nel corposo testo di 411 pagine, Ricca dà conto della critica a Dio e alla religione, tratto tipico ed esclusivo dell’Occidente dall’Ottocento in poi. Sono critiche di cui tenere conto, che devono poter essere espresse e che sono il prezzo della libertà. «Perché Salman Rushdie deve morire? Per noi è inaccettabile». Poi l’autore si sofferma su che cosa dice la Bibbia di Dio, convinto che molti abbandonino Dio perché non lo conoscono e, per i cristiani, Dio si conosce attraverso la Scrittura. 

In conclusione, Lidia Maggi riflette su una società che è passata dal mito di Prometeo (l’essere umano che ruba il fuoco agli dei, emancipandosene) al mito di Narciso «pronti ad ascoltare solo l’eco di sé stessi: una società dove è difficile capire come farsi ascoltare, anche quando si parla di Dio». La struttura del libro è stata richiamata dall’accompagnamento musicale di Sebastiano Reginato al violino, che durante la serata ha offerto un preludio, un interludio e un postludio.

 

Foto di Pietro Romeo: Paolo Ricca

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