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«Decolonizzare il nostro sguardo sulle migrazioni»

Partecipato incontro dedicato a donne e migrazioni ieri pomeriggio durante il presinodo della Federazione delle chiese evangeliche in Italia

Se le migrazioni forzate sono una delle grandi emergenze del nostro tempo, con centinaia di milioni di persone costrette ad abbandonare le proprie abitazioni e ad avviare una lunga odissea cui si somma la violazione dei più elementari diritti di una persona, le donne all’interno di questo processo sono categoria ancor più a rischio: di abusi, fisici e psicologici, violenze, pregiudizi.

Al contempo la loro forza, tenacia nel perseguire un obiettivo, ne fanno molte volte un modello che stravolge i nostri luoghi comuni, i nostri pregiudizi.

Ecco dunque che dedicare il presinodo della Federazione delle donne evangeliche in Italia al tema “Donne e migrazioni: insieme portatrici di valori universali, simbolici e culturali irrinunciabili” appare scelta quanto mai opportuna. Le stesse chiese crescono e si arricchiscono del contributo delle tante persone, molte donne, che da altri Paesi decidono di proseguire il loro progetto di vita e fra i vari contributi che portano alla nostra società c’è anche quello di ibridare, innovare e rinnovare il culto e le modalità di vivere la fede e la chiesa. 

La Civica Galleria d’Arte dedicata a Filippo Scroppo a Torre Pellice (To) era gremita ieri pomeriggio, segnale della grande voglia di ritrovarsi dopo più di due anni di forzate distanze, di ascoltarsi, parlarsi, discutere.

Due donne guidano due dei più importanti progetti che le chiese evangeliche italiane hanno strutturato in questi anni attorno al grande tema delle migrazioni: dall’aiuto al di là del Mediterraneo fino all’accoglienza nel nostro Paese, e alla costruzione di nuovi progetti di vita.

Loretta Malan, direttrice del Servizio Migranti della Csd, la Diaconia valdese, il braccio sociale della Chiesa valdese, ha sottolineato quanto il titolo del convegno sia azzeccato, proprio «per il grande e variegato contributo che le donne provenienti da ogni angolo del mondo portano al nostro mondo. Al contempo siamo noi che dobbiamo comprendere quante culture differenti ci ritroviamo davanti, differenze che necessitano risposte modulate, non certo omologate, in un continuo processo di apprendimento e arricchimento». Malan ha ricordato le varie ondate migratorie che dagli anni ’70 del secolo scorso (Filippine, Indonesia) a oggi (Africa, Medio Oriente, ma non solo), ognuna delle quali portatrice di sfide e valori differenti.

700 sono le persone al momento accolte all’interno dei vari progetti della Diaconia valdese, il 30% donne. Ognuno e ognuna con la propria storia, tutte apparentemente simili ma in realtà profondamente differenti. Ed è proprio dal porsi in ascolto, ha sottolineato Malan, che si deve partire. «Le donne intraprendono tragici viaggi perché vittime di violenze, perché loro o i loro figli sono malati e necessitano di cure, per studiare e per molti altri motivi. Il nostro compito è anche quello di porci delle domande, intercettare le loro necessità e capire che ognuna ha il proprio progetto di vita. Porci in ascolto è il primo atto attraverso il quale riconquistano una singolarità, una dignità».

Marta Bernardini invece coordina il programma Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, noto soprattutto per l’innovativo progetto dei “Corridoi umanitari” che hanno portato in Italia in sicurezza alcune migliaia di persone in fuga dalle proprie nazioni martoriate. I suoi lunghi anni di servizio in prima linea, sull’isola di Lampedusa, sono serviti anche per comprendere di quanti pregiudizi tutti noi, volenti o nolenti, siamo colmi quando approcciamo una persona, una donna in particolare, che scende in qualche modo da un barcone. «Decolonizzare il nostro sguardo e considerare che molte volte le nostre azioni sono legate a un’immagine non neutra che abbiamo dell’altro e dell’altra» ha commentato Bernardini. «Quando riusciamo a uscire dagli stereotipi della donna vittimizzata oppure scaltra manovratrice, allora troviamo le vicende singole, comprendiamo necessità e urgenze, progetti di vita. Il ischio di giudicare è sempre incombente, ma noi operatori dobbiamo fare un passo indietro di fronte alle aspettative di chi ha patito letteralmente l’inferno per arrivare di fronte a noi. Partendo dal basso perché anche in Italia sono ancora troppi i diritti negati alle persone migranti, e alle donne in particolare».

Le musiche e i canti sulle migrazioni di ieri e oggi in cui il Gruppo Teatrale Angrogna ha fatto immergere il pubblico è stata la degna chiusura dell’incontro, per ricordare sempre quanti italiani hanno migrato e quanti lo fanno ancora oggi.

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