Cronache dalla chiesa prossima ventura – quarta (e ultima) parte
20 marzo 2015
Un bilancio del raduno presbiteriano negli Stati Uniti
Ecco dov’erano finite le nostre paure: sono diventate qualcosa di diverso. Il culto finale del raduno “Next Church” è stato aperto indicando un grande uccello appeso al centro della navata: è stato costruito con le striscioline su cui avevamo scritto le paure che ci impedivano di andare oltre, striscioline diventate nell’ordine catene, catene spezzate ed infine, oggi, un uccello appunto, per simboleggiare la Grazia di Dio che trasforma ciò che ci spaventa in nuove occasioni di comunione per noi inimmaginabili.
La giornata è proseguita come le altre, con testimonianze (poi sottoposte alla critica di qualche controrelatore) e “Ignite presentations”; queste ultime sono uno strumento che insegna la concisione: in sette minuti (cronometrati!) si può presentare un programma di evangelizzazione che la propria chiesa sta mettendo in atto. Non c’è tempo da perdere, quindi bisogna concentrarsi sugli aspetti fondamentali che si vogliono comunicare.
Che cosa sono stati, alla fin fine, questi tre giorni di incontro? Probabilmente molte cose.
Innanzi tutto sono stati un momento di fraternità che riesce a coinvolgere sia chi partecipa da più anni, sia chi, come il sottoscritto, ha un’occasione unica di partecipare. In nessuna occasione mi sono sentito un estraneo; in particolare nei momenti in cui ci si trovava in gruppi ristretti sono sempre stato coinvolto, anche con una certa curiosità sulle esperienze che un Italiano non cattolico romano aveva da condividere. Ho notato che l’interesse nei miei confronti non riguardava tanto chi siano i Protestanti in Italia, quanto che cosa facciano, in che modo rendano testimonianza all’Evangelo in una terra in cui sono numericamente una piccola minoranza. Insomma, piuttosto che il discorso Valdo-Chanforan-Emancipazione-Integrazione (che a ogni buon conto ripassavo con cura, poteva sempre tornare utile...) erano molto più di comune interesse “Essere Chiesa Insieme” e “Mediterranean Hope”. E la cosa, devo dire, mi ha fatto piacere...
E poi l’incontro è stato un momento in cui raccontarsi e confrontarsi a partire da esperienze personali. Nessuno è arrivato a Chicago (almeno, nessuno che sia intervenuto) convinto di avere in tasca la ricetta per salvare e guidare la Chiesa Presbiteriana Usa per i prossimi 25 anni. Pastori e membri di chiesa si sono avvicendati sul palco per raccontare eventi di reale vita ecclesiastica, progetti di evangelizzazione e di intervento diaconale; c’è stata la sincerità di raccontare non solo quelli che hanno ottenuto i risultati sperati, ma anche quelli che evidentemente necessitano ancora di qualche revisione. Ci si racconta sperando di poter dare una buona idea ad un’altra chiesa locale che saprà fare tesoro e adattare al suo contesto quanto imparato. La domanda ricorrente che ci si è posti molto spesso, e nell’ultima giornata in particolare, è stata: “Che cosa riporti nella tua chiesa di quello che hai visto qui”? Chissà che qualche idea, qualche proposta, qualche invito a provare qualcosa di nuovo non riesca ad arrivare al di là dell’Atlantico fino in Italia...
E con questo è veramente tutto dall’incontro della “Prossima Chiesa”.