Ancora sulla bufala
20 marzo 2015
Perché si crede più facilmente alle scie chimiche che a Gesù Cristo?
La scorsa settimana abbiamo riflettuto sulla diffusione delle bufale sui social network: il bisogno di sapere che dietro all’evidente caos c’è un ordine, una mano, sia pure malvagia, oppure il pigro click con cui si fa girare un’informazione senza preoccuparsi se sia vero. Una prima implicazione teologica della bufala è che essa rientra nell’ambito della “falsa testimonianza” vietata nel Decalogo, una menzogna in grado persino di uccidere. Se infatti il complotto pluto-giudaico-massonico non ha mai ucciso nessuno, perché non esiste, chi vi ha creduto è arrivato a uccidere singoli ebrei, distruggere interi villaggi o a privare l’Europa di un pezzo della sua anima, i circa sei milioni sterminati nella Shoah.
Un aspetto teologico interessante della bufala è che essa è una sorta di vitello d’oro. In altre parole, nella bufala “si crede”, si pone fiducia, si ha “fede”. Chi condivide la storia delle scie chimiche non va a verificarla. Qualora qualcuno gli facesse notare che si tratta di una stupidaggine, allora questo qualcuno viene inquadrato come uno scettico o come una persona interessata affinché non si creda. Insomma, un “infedele”.
La storia contemporanea delle bufale non inizia con Facebook, ma più precisamente nel secondo dopoguerra. La nascita della propaganda attraverso i mass media — di cui parla Orson Welles in Quarto Potere (1941) — e l’applicazione del fordismo allo sterminio — i lager nazisti — insieme alla psicosi da guerra nucleare, hanno alimentato il sospetto che la versione ufficiale fosse sempre falsa. Ora, la versione ufficiale è costitutivamente “aggiustata”: tuttavia, quel che è successo dalla fine degli anni 1940 in poi è stato folle, perché ogni versione è stata messa in discussione, eccezion fatta per la bufala. La bufala non si mette in discussione, perché è una verità trascendente, oggetto di fede.
Si cominciò con l’incidente di Roswell nel 1947 e il disco volante con tanto di pilota alieno che l’esercito americano avrebbe portato in gran segreto — un segreto talmente importante che ne sarebbero tutti a conoscenza! —nella ancora più segreta — e più nota — base Area 51 in Nevada. Altre bufale di successo furono la morte di Paul McCartney, il cui posto fu preso da un impostore — un impostore migliore dell’originale, perché avrebbe composto Let It Be —, e, di riflesso, la non morte di Jim Morrison e di Elvis Presley: un vivo sarebbe in realtà morto, due morti sarebbero in realtà vivi.
Sia chiaro che la critica della bufala non è un’adesione piatta alle versioni ufficiali. La Guerra Fredda, l’opacità delle istituzioni hanno portato a ritenere inverosimili molte situazioni. Il punto è però l’idolatria nei confronti della versione alternativa.
Tutta questa “fede” colpisce. Eppure siamo nell’Occidente secolarizzato, c’è il declino delle cristianesimo storico europeo e le chiese sono sempre più dei monumenti vuoti. Sono sempre in meno a credere in Dio, ma resiste il bisogno di credere in qualcosa di irrazionale, di indimostrabile, di indiscutibile.
Nel rilancio di una fede cristiana evangelica, forse, sarebbe il caso di tenere in considerazione questo scenario. Perché è più facile credere agli alieni, al supergoverno massonico, a Elvis 80enne fuggiasco in pensione e non a Gesù, al Signore della storia?
Forse perché sa troppo di “versione ufficiale” o forse perché non sempre i cristiani sembrano crederci veramente.