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Morire oggi: ci vuole un pensiero nuovo

Gli interrogativi posti dalla medicalizzazione del fine vita, in un contesto in cui il rapporto medico-paziente, ma anche società-scienza, sono profondamente cambiati

La Commissione per i problemi etici posti dalla scienza delle chiese battiste, metodiste e valdesi ha alcuni nuovi componenti e una nuova coordinatrice, la pastora valdese Ilenya Goss. Con lei facciamo il punto sulla situazione, anche in vista del referendum relativo al suicidio assistito, che, raccolto più di un milione di firme, attende per metà febbraio il parere della Corte Costituzionale sulla sua ammissibilità per la votazione, prevista in primavera. Innanzitutto bisogna specificare, sottolinea Goss, «che il suicidio assistito comporta l’autosomministrazione del farmaco, mentre l’eutanasia no, e il nostro ordinamento non ammette eutanasia (rubricata come omicidio del consenziente). Il referendum verte sull’articolo 579 del Codice Penale: abrogandone una parte sarà possibile, ma solo in precise condizioni cliniche, rispondere alla richiesta del paziente di vedere abbreviato il suo tempo. Un quesito referendario su una questione così delicata e complessa comporta rischi, ma la difficoltà del Parlamento a disciplinare la materia probabilmente giustifica il ricorso al parere diretto dei cittadini».

– Ma ripercorriamo il lavoro della commissione su questi temi: nel primo documento (L’eutanasia e il suicidio assistito, 1998) era presente una distinzione fra sospensione delle cure e intervento attivo nel procurare la morte, cioè tra omissione e azione; nel documento «È la fine, per me l’inizio della vita». Eutanasia e suicidio assistito: una prospettiva protestante (2017), questa distinzione sembra superata, pur non essendoci unanimità all’interno della commissione. C’è stata un’evoluzione del dibattito nelle chiese?

«Il documento sul fine vita del 2017, proposto allo studio nelle chiese, ha avuto una significativa circolazione; il Sinodo 2018 lo ha recepito come parere autorevole sul tema. Su argomenti così sensibili e complessi le posizioni sono differenziate, ma l’obiettivo dei documenti è offrire approfondimenti perché ciascuno possa orientarsi, senza pretesa di dare risposte definitive.

A cinque anni di distanza la questione del fine vita in Italia è sempre oggetto di dibattito: il caso di Fabiano Antoniani e il pronunciamento della Corte Costituzionale seguito al processo di Marco Cappato hanno sensibilizzato l’opinione pubblica. Nella sentenza della Corte Costituzionale del novembre 2019 si dichiara non punibile l’aiuto al suicidio in specifiche condizioni, senza che questo abbia però determinato un cambiamento di prassi nel nostro Paese. Parimenti l’approvazione della Legge 219 (Dichiarazioni anticipate di trattamento) ha posto le basi per un nuovo approccio al fine vita, ma è mancata fino a oggi una piena applicazione di questa normativa». 

– Uno dei nodi del dibattito è la dicotomia tra disponibilità e indisponibilità della vita, e l’idea di “autodeterminazione della persona”: su questo le posizioni sono molto diverse, pensiamo alle varie chiese cristiane…

«Le posizioni in conflitto hanno presupposti diversi: il documento della nostra commissione integrava le idee di vita come dono ricevuto e di responsabilità come libertà di prendere decisioni senza coercizione della coscienza. C’era l’attenzione a non violare lo spazio intimo di un’esistenza sofferente in cui possono avere senso anche scelte estreme. Un dono se è davvero tale è disponibile: il senso delle scelte si gioca nella relazione con Dio e non nell’imposizione di principi assoluti. Si tratta di testimoniare un orientamento coerente col vissuto di fede, e per questo anche capace di impegno perché nel nostro Paese si affermi una impostazione laica che garantisca a tutti un ampio grado di libertà. Questo è parte integrante della cura dell’altro che ci anima in quanto credenti e in quanto cittadini e che tiene conto delle diversità. Altre chiese cristiane muovono da presupposti diversi e fanno di alcuni principi, tra cui l’indisponibilità della vita, criteri assoluti imposti alla coscienza. Non si tiene conto che oggi il morire medicalizzato richiede un pensiero nuovo. Naturalmente va considerato anche il ruolo che ciascuna chiesa ritiene di dover avere nella società: testimonianza e servizio nel rispetto delle differenze, oppure controllo e magistero».

– C’è poi da considerare la prospettiva del medico, di cui in genere si parla poco. Potrebbe riproporsi la questione dei “medici obiettori”, come già accade per esempio con l’aborto (creando problemi drammatici)?

«L’impatto psicologico dell’assistere un paziente consentendogli di morire secondo le sue disposizioni è molto pesante. La questione interpella sul ruolo del medico e su cosa ci aspettiamo dalla Medicina. La cura palliativa non solo non è da contrapporre all’aiuto a morire come fosse un’alternativa, anzi è l’approccio che permette di portare la cura davvero fino alla fine, compreso questo tipo di aiuto se richiesto.

Anche l’obiezione di coscienza in ambito sanitario va ripensata; un cambiamento legislativo che comporti atti non previsti quando un medico ha intrapreso la professione giustifica l’obiezione, ma con la maturazione di un nuovo modello professionale tale possibilità dovrebbe avere dei limiti. 

Il consenso informato (regolato dalla legge 219/2017, Legge Lenzi, ndr), e il principio di autonomia hanno cambiato il rapporto medico-paziente, ma anche il rapporto società-scienza». 

– E poi è arrivata la pandemia… gli ultimi due anni hanno messo al centro dell’attenzione il mondo medico e scientifico, con posizioni molto polarizzate, spesso nell’incapacità di accettare che la scienza procede per tentativi e difficilmente raggiunge risultati definitivi.

«La pandemia ha messo in luce aspetti negativi dei rapporti di cui sopra: dalla fiducia nella scienza e nel medico si è passati a scetticismo e sospetto. Non è facile formare alla giusta proporzione tra affidamento alle competenze degli esperti ed esercizio di critica. Nel limite delle nostre forze cerchiamo di offrire un contributo, nelle chiese e fuori, per affrontare il cambiamento culturale che oggi ci sfida, con attenzione al dato scientifico e riflessione etico-teologica che faccia crescere pensiero critico e responsabilità».

– Su questo la commissione ha già alcune idee per il suo lavoro futuro

«Dopo tre documenti sulla pandemia, ora, con alcune novità nella composizione del gruppo, stiamo riprendendo temi precedenti all’emergenza, questioni di inizio vita (gestazione per altri) e intelligenza artificiale. Ci teniamo comunque vicini agli argomenti che animano il dibattito pubblico».

 

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