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Dio illumini gli occhi del nostro cuore

Un giorno una parola – commento a Efesini 1, 18

Signore, tu sei in mezzo a noi, e il tuo nome è invocato su di noi; non abbandonarci!
Geremia 14, 9

Dio illumini gli occhi del vostro cuore, affinché sappiate a quale speranza vi ha chiamati, qual è la ricchezza della gloria della sua eredità che vi riserva tra i santi 
Efesini 1,18

Un luogo comune vuole che le cose nuove si inizino di lunedì, e quale lunedì migliore per questo del primo dell’anno? Parlo della speranza, che spesso tendiamo a considerare più un’attitudine personale, ma che forse è qualcosa su cui possiamo e dobbiamo lavorare ogni giorno. Il frammento di Efesini augura che il Signore illumini gli occhi del cuore di chi lo legge. In termini concreti possiamo parlare di un cambiamento di ottica, e ne abbiamo bisogno. La civiltà occidentale è affetta da troppo benessere per sentirsi disperata, ma ha in gran parte perso la speranza. Ci sentiamo impotenti, bersagliati da domande di cui ci mancano le risposte, almeno quelle rassicuranti cui ci avevano abituato le passate ideologie delle magnifiche sorti e progressive del continuo sviluppo dell’umanità, e il rischio è quello di cullarci in un presente di piccole garanzie, avvelenate dalla paura del futuro. Rischiamo di sentire di non contare più niente e di non poter fare niente, e questo ci fa stare male, non è nella nostra natura. Siamo fatti per muoverci, per agire, ma non stiamo abbastanza male da essere spinti dalla molla del dolore, e neanche si riesce a muovere quella della speranza. Restiamo in una sconfortante zona grigia, una nebbia insidiosa in cui si nascondono tutte le ombre del nostro mondo, che ci fanno paura.

Nella mia città opera una piccola associazione che offre servizi di vario tipo alle persone senza fissa dimora, pasti caldi, coperte, assistenza personale. La pandemia ha reso ancora più critica la situazione di chi vive senza una casa, perché da un lato ha causato la perdita di moltissimi posti di lavoro, spingendo molta più gente sulla strada, e dall’altro ha complicato la gestione delle strutture di ospitalità, aggravando esistenze già difficili. Tra le persone senza fissa dimora, “gli altri”, e noi, si è levato alto il muro del senso dell’impotenza. Chi opera per portare assistenza cambia ottica, e guarda con gli occhi della speranza. 

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