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Chiesa e bisogni della società

Gli aiuti portati ai senzatetto hanno un significato molto rilevante per chi li riceve: e chi li offre può riconoscere in questa azione la signoria di Cristo sulla propria esistenza

 

Questa riflessione non nasce dall’analisi dettagliata delle statistiche sulle nuove povertà, di cui però vuole cogliere il grido di allarme. Ai numeri pre-Covid riguardo a emarginazione sociale e povertà, fino a toccare l’estrema indigenza, si è aggiunto circa un milione di persone, per lo più italiane, cui la crisi economica, innescata dalla pandemia, ha sottratto la possibilità di continuare a mantenersi attraverso redditi modestissimi ricavati da lavori saltuari. Persone senza futuro e spaventate dal presente, costrette dalla necessità primaria di nutrirsi a superare la vergogna che si può provare nel recarsi alle mense per i poveri o a usufruire della distribuzione gratuita di pacchi alimentari.

Linea di povertà, povertà relativa, povertà assoluta, ampliamento della forbice tra famiglie ricche e famiglie povere, stabilire quanto poveri sono i poveri. Temi che riguardano la definizione di indicatori per la ricerca sociologica. Poi ci sono le persone; anzi prima. E dalla parte delle persone: l’evangelo del Regno, le chiese e la pratica del dare. I tre aspetti, non disgiungibili, del vivere la fede come impegno per la conversione del mondo, e non solo come fatto personale . L’entusiasmo della predicazione che invita a percepire, nell’amore di Gesù e nell’amore per Gesù, un’anticipazione del domani di Dio già ora, nelle disarmonie drammatiche del contesto storico, perderebbe slancio e credibilità se non si facesse sostanza concreta del rapporto tra comunità cristiana e società. Ed è proprio su questo punto che decidiamo per il sì o per il no al riconoscimento della piena signoria di Cristo nelle nostre vite e del Regno di Dio come possibilità futura di questa realtà che lo nasconde, o peggio, lo rifiuta.

Il gesto, praticato da molte delle nostre chiese, di offrire un panino e una bevanda calda ai senzatetto che si incontrano sotto i portici del centro di tante città, o una busta di generi alimentari a chi si reca in chiesa a ritirarla, è poca cosa rispetto a ciò che significa per chi li riceve: un passaggio esistenziale dall’invisibilità alla visibilità, dal rifiuto alla cura, dalla distrazione subita al poter narrare la propria storia a qualcuno che vuole ascoltarla, e il cambiamento, seppure non definitivo, da una condizione di penosa necessità al suo soddisfacimento. 

La fede intende nella duplice legge di Gesù (l’amore per Dio e per il prossimo) la via per la trasformazione delle forme inique di vita sociale, e, nella grazia che da lui proviene, afferra l’energia per darne segno. È pur vero che per organizzare questo tipo di servizio servono la disponibilità di tempo delle persone che si offrono come volontarie e la sottrazione di un po’ di euro da altri progetti. Ma, se la fiducia nel Regno che viene è il propellente per condurre le chiese verso il futuro di Dio, è semplicemente questione di mettere a bilancio una piccola spesa per “preparare nel deserto la via del Signore che viene con potenza” (Isaia 40).

A fronte del doloroso panorama umano che a stento sopravvive accanto a noi, l’ unica domanda che una comunità può porsi è questa: non il se ma unicamente il come si possa garantire questo servizio. E il modo si trova. Il Regno è la promessa della giustizia di Dio per la nuova società, dove il bene personale sposa e coincide con il bene comune perché lo Spirito, la grazia e l’amore tutto e tutti legano, e insieme restituiscono alla pienezza di vita. La fedeltà delle Chiese alla parola di Gesù si gioca sul credere o meno che il Regno sia il destino dell’umanità tutta. E, dunque, lo stato di concreto benessere di quella parte di umanità raggiungibile dalla sua azione dev’essere al centro dell’attenzione della Chiesa. La Chiesa guardando al Regno, guidata da Gesù a camminare fuori dai luoghi di culto, vive nel mondo e per il mondo che al momento le è stato dato. Può sembrare sorprendente, ma anche il dono di un pasto può far intuire, a chi non lo conosce, chi è Dio.

Lo testimoniano le risposte di alcuni volontari dell’area milanese.

«Mi occupo della distribuzione alimentare perché in essa vedo la concretezza della Parola. L’annuncio dell’amore che si fa gesto. C’è stata un’inversione nel sentire delle chiese rispetto alle modalità dell’impegno sociale negli Anni ‘70. Allora, tutto ciò che non avesse ottenuto un cambiamento radicale della società era valutato come beneficenza, cioè, alla fine, un sostegno al mantenimento di strutture di ingiustizia, riparandone temporaneamente i guasti. Ma i tempi sono cambiati, si è riflettuto sulle ambizioni di rivoluzioni sconfitte, la povertà è aumentata e ora, fortunatamente, si può dire che anche il piccolo gesto di aiuto contiene una denuncia per il presente e dimostra la speranza per il domani».

«Lo faccio perché così riesco a dare un senso pratico immediato alla mia fede, e da ogni incontro percepisco un rimando molto forte dell’esperienza umana del vivere».

«Desidero aiutare gli altri, sentirmi in qualche modo utile. Ho attraversato un’esperienza personale di invisibilità quando ho perso il lavoro, e so cosa vuol dire sentirsi abbandonati».

«Lo faccio perché non posso non farlo».

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