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La parola della riconciliazione

Un giorno una parola – commento a II Corinzi 5, 19

Se tieni conto delle colpe, Signore, chi potrà resistere?
Salmo 130, 3

Infatti, Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione
II Corinzi 5, 19

Che cos’è – in definitiva – una riconciliazione? Potremmo pensare al tradizionale “metterci una pietra sopra”. In questo caso, «la parola della riconciliazione» sarebbe sostanzialmente un chiarimento nel quale uno si impegna a non ripetere il torto compiuto e l’altro a dimenticare il torto subito. Una vecchia canzone napoletana, subito dopo la guerra, tentava di superare il problema dei soprusi sofferti sotto il fascismo con la strofa: «Chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, scordiamoci del passato!», sorvolando sulla gravità dei fatti accaduti ed evitando di riconoscere il dolore causato.

Però, se riflettiamo più attentamente sul come Gesù ha operato la riconciliazione, ci rendiamo subito conto che le cose stanno diversamente. Infatti, Gesù ha preso su di sé il peccato umano: «egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui» è scritto due versetti dopo il nostro. Quindi, la riconciliazione è avvenuta sulla base dell’assunzione del nostro peccato su di sé da parte di Gesù. Potremmo dire che Egli ha portato il nostro peccato all’interno della sua relazione con noi, quindi senza dimenticarlo, senza sottovalutarlo, ma vivendo il suo rapporto con noi nella gioia della nostra giustizia che il suo perdonare – non il dimenticare – ha prodotto.

E allora, che cos’è «la parola della riconciliazione» che Dio ha messo in noi riconciliandoci in Cristo? Non è altro che la parola di perdono per il torto ricevuto dal fratello. Non semplicemente un chiarimento su quanto avvenuto, ma il perdono, cioè l’atto di portare il peccato dell’altro nella propria vita e, così facendo, non dimenticarlo mai, rispettando la sua gravità, non sorvolando sul male compiuto e sul dolore procurato, ma diventando capace di vivere comunque nella gioia della ritrovata giustizia dell’altro che il nostro perdonare – non il dimenticare – dà all’altro. 

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