La tristezza secondo Dio
27 settembre 2021
Un giorno una parola – commento a II Corinzi 7, 10
Prima di essere afflitto, andavo errando, ma ora osservo la tua parola
Salmo 119, 67
Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c’è mai da pentirsi
II Corinzi 7, 10
La tristezza oggi viene curata con i farmaci. Ma l’apostolo Paolo qui è molto preciso, parla della «tristezza secondo Dio», quindi non ci è concesso di contrapporre i farmaci al ravvedimento. Anzi, Paolo distingue tra una «tristezza del mondo» – che è maligna e porta alla morte (e, aggiungo io, è bene curare avendone le possibilità) – e la «tristezza secondo Dio», che è benevola e persino salutare dal punto di vista spirituale. La prima spinge verso la vanità della vita e alla morte, la seconda spinge al ravvedimento e alla salvezza. Esiti opposti. Se la tristezza porta al ravvedimento non c’è da dolersene, né quando è subita, né quando è procurata, perché il suo risultato alla fine genera allegrezza.
In quasi tutto il Nuovo Testamento, il ravvedimento è quella trasformazione radicale che induce ad abbandonare gli abiti vecchi della propria esistenza, per indossarne di nuovi offerti dalla fede in Cristo; ma qui si tratta di altro, si tratta del ritrovarsi spiritualmente e del ritornare sul cammino della coerenza con la fede. Chi è rattristato per la fede non torna alla partenza come nel gioco dell’Oca, non ha “perso” la fede, ma deve solo ritrovare la strada e proseguire il cammino.
Questo è un messaggio di serenità per tutti quelli che – pur nella fede – sperimentano la stanchezza. Si può guardare a questi “deserti” persino con una serena tranquillità, nella fiducia che questi momenti porteranno ad un esito positivo. Rispondere a tali momenti con l’ansia di giustificarsi davanti agli altri e autogiustificarsi davanti a Dio sarebbe il più fatale degli errori. Invece, questi possono diventare i momenti della preghiera, anche senza parole, per mettere la propria vita nelle mani di Dio, per affidarsi alla grazia, per accogliere il perdono, e per trovare in Dio stesso il senso di tanta sofferenza interiore.