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Il G20 delle religioni

Dall’11 al 14 settembre la città di Bologna ospita il grande raduno che mette attorno a un tavolo decine e decine di rappresentanti dell’ecumene mondiale

«Siamo qui, insieme, questa sera per ricordare uomini, donne, bambini e bambine che hanno perso la vita mentre erano in un luogo di culto, un luogo “intimo”, che ritenevano sicuro. Saremo attraversati dal dolore ma anche raggiunti dal conforto. Ci accompagneranno parole, suoni, preghiere: per provare a dare un nome, una dignità, una memoria, alle migliaia di persone che negli ultimi 40 anni hanno perso la vita mentre si trovavano in un luogo di preghiera. Sono circa 4800, gli oranti uccisi in un tempio, un luogo di pellegrinaggio, una sinagoga, una chiesa, o una moschea, da persone che hanno agito in nome di una ideologia politica o, talora, di una fede diversa o di una diversa confessione».

Con queste parole Alessia Passarelli della Fondazione per le scienze religiose (Fscire) ha aperto sabato 11 settembre la toccante cerimonia che è stata di preambolo ai lavori del “G20 delle religioni”, in corso dall’11 al 14 settembre a Bologna, grande raduno che mette attorno a un tavolo decine e decine di rappresentanti dell’ecumene mondiale.

Una cerimonia dedicata dunque ai caduti nei luoghi di culto, a partire dal bambino Stefano Gaj Taché, ucciso all’esterno della sinagoga di Roma nel 1982, passando poi per vittime copte, sunnite, buddiste, cattoliche, evangeliche, ovunque, in ogni angolo del pianeta. Una lunga scia di dolore e lacrime, che ha trovato nella cerimonia il denominatore comune nel passo biblico di Caino e Abele e nella Sura Al Mai’da del Corano, nel commento e nelle riflessioni della pastora battista Lidia Maggi e nelle preghiere dei rappresentanti delle altre confessioni. 

La domenica è stata dedicata all’inaugurazione ufficiale e a una sentita cerimonia ecumenica, ospitata dalla chiesa metodista bolognese, guidata dalla pastora Giuseppina Bagnato. Da lunedì 13 via ai tavoli di lavoro. Il tema guida per le numerosissime sessioni previste è «Time to Heal», il tempo della guarigione. Incontri, conferenze, preghiere, alla presenza fra gli altri, del segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese, padre Ioan Sauca, del patriarca ecumenico Bartolomeo I, di Najla Kassab, presidente della Comunione mondiale delle chiese riformate, di Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale. Un’occasione di incontro, non solo formale, e di dibattito; in qualche maniera anche un tentativo di raccogliere le sfide di questi due anni di pandemia che hanno stravolto le nostre modalità relazionali e obbligato a ripensarci. Anche le chiese nel loro intimo e nella loro missione.