G8 +20
20 luglio 2021
Il contributo della Glam, la Commissione Globalizzazione e Ambiente della Fcei nel ventesimo anniversario del G8 di Genova, a cura della coordinatrice, Antonella Visintin, e di Teresa Isenburg
Gli anniversari suscitano commemorazioni e bilanci.
Potremmo ripercorrere i fatti di quelle giornate del 2001, quelli che li hanno preceduti e i successivi fino ad oggi ma ci preme rilevare le ragioni nella volontà politica almeno dell’Italia di Silvio Berlusconi, della Germania, la Francia, il Regno Unito, il Giappone, gli USA e la Russia di eliminare l’eco fastidioso del movimento no global (composto da organizzazioni non governative, gruppi pacifisti, sindacati, associazioni di consumatori, gente comune) che dal 1999 tallonava gli incontri del WTO e dei forum intergovernativi informali a geometria variabile (G8, G20 ecc.) – espressioni della "governance globale" – ribadendo di voler contrastare la mondializzazione senza regole negoziate con i popoli, lo strapotere delle multinazionali, e il transgenico e i brevetti per i loro effetti sulla agricoltura di sussistenza.
Genova 2001 ha normalizzato la criminalizzazione dei movimenti sociali in generale e forme repressive crudeli come le varie uccisioni da parte di poliziotti di singoli “marginali” o considerati tali.
E’ stato un momento importante di legittimazione (che era già in corso) dei fascisti. La violenza brutale è stato il marketing di comunicazione, ma l’operazione era un progetto politico di blocco della partecipazione di massa alla vita politica.
La violenza fisica e la brutalità (ancora impunite) perpetrate con tecniche militari su cittadini in manifestazione pacifica (a parte lo spezzone antagonista) hanno segnato i confini che i popoli non devono superare pena la repressione.
L’unica internazionale possibile è quella marcata dai mercati.
Ciò che a me fa male è l’arretramento al di qua di quella linea che nel frattempo è avanzata colpendo ancora di più i diritti sociali e civili, trasformando ogni protesta sociale in una questione di ordine pubblico e svuotando la democrazia senza trovare ostacoli.
Oltre al danno immediato continua a fare effetto il veleno a lento rilascio di quella azione punitiva.
Lo si osserva nel nanismo della miriade di movimenti monadici e la modestia delle ambizioni, nella indignazione senza progetto che non sia l’elenco dei desideri, nel posizionamento di quel che resta dei corpi intermedi, collaterali e amministratori garanti della pace sociale. Il regno della mediocrità e dell’opportunismo si è esteso e occupa la scena.
Come i miserabili che pensavamo di aver relegato nei libri di storia, con il cappello in mano invochiamo un neoliberismo dal volto un po’ più umano e possibilmente responsabile verso l’ambiente, a fronte del cambiamento climatico.
Fa male che in questi anni non ci sia stata la capacità di riprendere i fili interrotti a Genova da parte dei soggetti che allora avevano sperato che un altro mondo fosse possibile. Qualcuno è scomparso (come la rete Lilliput) e qualcun altro è tornato nei ranghi. Come interpretare le iniziative di quest’anno? Celebrazione o riposizionamento?
In ambito cristiano, ricordiamo allora la presenza di Acli e Agesci e della Federazione delle chiese evangeliche in Italia attraverso la Glam. In questi anni i protagonisti istituzionali di allora cercano principalmente di passare il testimone ai giovani del terzo millennio e fanno un importante lavoro di advocacy presso l’ONU e altri organismi mondiali multilaterali che le chiese sono chiamate a sostenere in un pellegrinaggio di giustizia e di pace.
Personalmente non me la sono sentita di tornare a Genova perché quella violenza mi è rimasta dentro, perché non mi sono fatta una ragione del perché durante la caccia all’uomo con i cellulari silenziati, che anche io ho subito, dalle finestre non fosse arrivata alcuna voce, i portoni chiusi.