La fede non può rimanere rinchiusa nel privato
15 marzo 2021
Un giorno una parola – commento a Atti 4, 20
Il nostro Dio, che noi serviamo, ha il potere di salvarci e ci libererà dal fuoco della fornace ardente e dalla tua mano, o re. Anche se questo non accadesse, sappi, o re, che comunque noi non serviremo i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai fatto erigere
Daniele 3, 17-18
Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite
Atti 4, 20
I discepoli di Gesù, Pietro e Giovanni hanno proclamato la vittoria della vita nuova in Gesù Cristo e un paralitico, che sostava davanti all’ingresso del Tempio a Gerusalemme, si alza in piedi e canta lodando il Signore per la libertà ricevuta.
L’evento non passa inosservato e i responsabili della vita spirituale della città arrestano i due discepoli accusandoli di diffondere dottrine ingannevoli, e per il futuro gli impongono di tacere. I potenti chiedono di fermare l’annuncio della resurrezione del Signore e impediscono che il popolo abbia un futuro di libertà.
Il nostro brano contiene la risposta di Pietro. Sono poche parole che affermano un principio fondamentale per la vita dei credenti: ubbidire a Dio e non agli uomini! È la libertà di agire secondo coscienza già nota nel mondo giudaico al tempo dei Maccabei e, nel mondo greco, con la famosa apologia di Socrate: O miei concittadini di Atene, io vi sono obbligato e vi amo, ma obbedisco al Dio piuttosto che a voi.
La fede, nata con la proclamazione che Gesù Cristo è il Risorto, non può rimanere un fatto rinchiuso nel privato, ma diventa potenza di vita secondo la volontà di Dio.