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Accadde oggi, 25 febbraio

25 febbraio 1949 - Muore Lidia Poet, valdese, prima avvocata d'Italia

E' finita da poco la seconda guerra mondiale quando, il 25 febbraio 1949 muore novantaquattrenne a Diano Marina una donna che ha segnato il percorso dell'emancipazione femminile a cavallo dei due secoli e poi giù fino al suffragio universale del 1946. Lidia Poet ha combattuto le battaglie per l'affermazione della sua dignità di persona, e queste lotte sono diventate le lotte di tutte le donne italiane, impegnate in un cammino difficile, frustrante, per veder equiparata agli uomini la propria presenza nella società.

Lidia Poet ha fatto tutto questo partendo da Traverse, borgata di Perrero, un mucchio di case a oltre mille metri d'altitudine, incastrata nella val Germanasca. Lontana dalla città, ancor più se pensiamo alla data di nascita, 1855. Valdese, si trasferisce a Pinerolo a casa del fratello Enrico, avvocato. Si diploma come maestra e nel 1878 si iscrive contro la volontà paterna alla Facoltà di Legge dell'Università di Torino, città in cui si laurea nel 1881 con una tesi sulla condizione della donna nella società, con particolare attenzione alla questione del voto femminile. E' la prima donna in Italia a laurearsi in giurisprudenza. Ma ora Lidia ha voglia di lavorare, di mettere in pratica quanto appreso dai libri. Due anni di praticantato a Pinerolo e dopo aver superato gli esami per diventare procuratore generale, chiede l'iscrizione all'albo degli avvocati. Apriti cielo. L'Ordine degli Avvocati di Torino si spacca ma consente alla Poet l'iscrizione. Decisione subito impugnata dal procuratore del Re presso la corte di Appello, che adducendo motivi legali dovuti a mancanza di norme sull'esercizio della professione da parte del sesso femminile blocca tutto:

«Ponderando attentamente la lettera e lo spirito di tutte quelle leggi che possono aver rapporto con la questione in esame, ne risulta evidente esser stato sempre nel concetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine».

Linguaggio da Azzeccagarbugli per bloccare le legittime pretese di Lidia e di molte altre donne che in quegli anni stanno compiendo un percorso simile. L'ovvio ricorso della Poet viene bocciato e pare questa la pietra tombale sulle battaglie femministe. I giornali e l'opinione pubblica seguono con passione le vicende sue e di altre pioniere come lei. Esercita comunque la professione, in via più o meno informale, a Pinerolo con il fratello dedicandosi soprattutto alla difesa dei minori e non smettendo mai di combattere le battaglie per l'emancipazione femminile. Nel mentre diventa rappresentante per l'Italia del Congresso Penitenziario internazionale in vari congressi in tutta Europa. Gli anni passano, scoppia la Grande Guerra. Tutti i maschi arruolabili del Regno d'Italia sono chiamati alle armi per difendere i sacri confini dall'invasione austriaca. I morti, i feriti e mutilati saranno milioni. E soprattutto gli uomini hanno lasciato vuote le case, vacanti le mansioni pubbliche. Ecco che per le donne questa tragica circostanza diventa l'occasione per affermare la propria centralità nella società, dimostrando le proprie ovvie abilità in qualsiasi compito, sia esso il lavoro nei campi come la gestione di pubblici servizi o privati affari. Ecco perché nel 1919 la legge che apre alle donne tutte le carriere professionali fotografa in realtà una situazione già in atto. Lidia ne approfitta subito e nel 1920, oramai sessantaquattrenne diventa la prima avvocata d'Italia. La strada è aperta, e la via tracciata da una ragazza valdese della val Germanasca.

Foto via studivaldesi.ortg | Casa della famiglia Poët a Traverse, Perrero - Archivio Fotografico Valdese, Fondo David Peyrot.