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Nel gelo balcanico

Il Segretariato Attività Ecumeniche interviene sul dramma in corso appena fuori dai nostri confini con migliaia di migranti bloccati al gelo fra violenza e indifferenza

Ecco il comunicato che il Segretariato Attività Ecumeniche ha pubblicato per denunciare la situazione delle persone migranti bloccate nei Paesi balcanici:

«Nella Charta Oecumenica, documento firmato a Strasburgo il 22 aprile 2001, le Chiese europee hanno scritto: "Vogliamo contribuire insieme affinché venga concessa un'accoglienza umana e dignitosa a donne e uomini migranti, ai profughi ed a chi cerca asilo in Europa". Sono trascorsi vent'anni. In queste settimane nei Balcani constatiamo come questa volontà sia frustrata. Molti, giustamente, denunciano quella che Johann Sattler, ambasciatore Ue e rappresentante speciale in Bosnia ed Erzegovina, ha definito come una “crisi umanitaria artificiale”. La situazione è ormai nota; essa però non muta. Migliaia di persone continuano a vivere in condizioni disumane.

Da pochi giorni abbiamo celebrato il “Giorno della memoria”, quello della Shoah e quello dell'attuale drammatica situazione dei migranti nell'area balcanica sono fenomeni storici diversi e imparagonabili. Vi è però un'analogia. Una domanda che noi poniamo a coloro che vivevano nella prima metà degli anni quaranta, in futuro sarà posta probabilmente anche a noi: voi cosa facevate? L'impasto tra indifferenza e senso di impotenza che contraddistingue l'animo di molti fu di allora ed è di ora, con l'aggravante che noi, adesso, conosciamo esattamente quanto sta succedendo.

Il Segretariato Attività Ecumeniche (Sae) ringrazia chi nelle Chiese cristiane di qualunque confessione sia, si sta prendendo a cuore, tanto attraverso l'aiuto quanto per mezzo di una responsabile denuncia, la drammatica situazione migratoria. "Vogliamo contribuire insieme". I “corridoi umanitari” sono un esempio concreto di questa collaborazione che va allargata e potenziata.

In riferimento alla cultura europea, un titolo di un saggio famoso affermava: "Perché non possiamo non dirci cristiani"; in un'Europa che continua a erigere muri senza trovare chi accompagna la denuncia con la pratica dell'aiuto, il titolo andrebbe riscritto così: "Perché non possiamo più dirci cristiani".

Photo: Gémes Sándor/SzomSzed

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