Persone liberate
29 dicembre 2020
Un giorno una parola – commento a Giovanni 1, 11-12
Per voi che avete timore del mio nome spunterà il sole della giustizia, la guarigione sarà nelle sue ali
Malachia 4, 2
È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome
Giovanni 1, 11-12
Da dove proviene la difficoltà che si incontra nello stabilire dei rapporti armoniosi fra le persone? È una difficoltà che si incontra anche nelle famiglie, anche in quella che dovrebbe essere il luogo del pieno e totale accordo, cioè nella comunità cristiana. Ci si rende conto che, per stabilire dei buoni rapporti, dei rapporti di comprensione, la buona volontà non basta. Anzi, più ci si accanisce per risolvere i dissidi con la buona volontà, più quei dissidi si approfondiscono, come quando si cerca di risalire una scarpata scivolosa e si finisce per scivolare ancora più in basso. Il problema si fa ancora più acuto se si sente la fraternità come un dovere, e quindi come imperativa la soluzione di conflitti che si dimostrano in realtà insolubili. Ma questo è un modo sbagliato di intendere la condizione di figli e figlie, un modo che non risolve la difficoltà ma la genera.
I figli e le figlie di Dio sono persone liberate, sollevate. Non si affidano più alle proprie forze, si affidano completamente a colui che è venuto per liberarle, a Gesù, che porta guarigione dove regnano le vecchie relazioni distorte e, nel mondo che non l’ha ricevuto, non smette di essere accogliente. Le persone liberate da Gesù, pur nei limiti della loro condizione naturale, ricevono lo strano potere di vivere come figli e figlie nella famiglia di Dio, dove ci si può accogliere a vicenda. Le relazioni certe volte sono diventate talmente difficili che, umanamente, può sembrare salutare mantenere le distanze. Il solco tra me e il fratello o la sorella, che appare insuperabile per colpa sua o mia o di entrambi, può essere superato solo se la fraternità o la sororità non è più subita come un dovere ma è ricevuta come un dono; allora il mio giudizio perde veramente valore e io posso vedere quella persona nella luce che illumina entrambi, perché a lei come a me è stato dato il diritto immeritato di diventare figlia di Dio.