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Uscire dalle tenebre dell’incredulità

Un giorno una parola – commento a Ezechiele 18, 23

«Io provo forse piacere se l’empio muore?», dice il Signore, Dio. «Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive?»
Ezechiele 18, 23 

Io sono venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre
Giovanni 12, 46

«Parole, parole, parole» canta Mina in una famosa canzone di (non) amore, ed è vero: parlare è sempre facile; quante cose si dicono, anche in perfetta buona fede, perché tanto non costano nulla? Essere scettici è d’obbligo e una certa dose d’incredulità rimane, anche quando, come nel primo dei versetti biblici di oggi, chi parla è Dio.

Le colpe dei padri, dichiara il Signore, non ricadono sui figli e sulle figlie: ognuno risponde di se stesso e non deve temere per gli errori altrui; perfino l’empio, se si ravvede e si converte, trova misericordia. L’Eterno, quindi, non è rancoroso, non è vendicativo è, anzi, giusto e magnanimo: magnifico! Stupendo! – Ma sarà davvero così? È troppo bello per essere vero… Ogni persona, secondo Ezechiele, sta sotto lo sguardo benigno di un genitore amorevole: non di un tutore arcigno e inflessibile; e qui, lo so: qualcuno starà cantando: «Parole, parole, parole»; questo lo capisco, ma non lo condivido.

Perché la Parola di Dio «è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi» (Giov. 1, 14); la giustizia e la misericordia di Dio sono diventate tangibili, fatto compiuto, in Gesù di Nazareth; il quale aveva tutte le ragioni per definirsi «luce del mondo» (Giov. 12, 46), come recita il secondo versetto di oggi; tutte le parole dell’Onnipotente si riassumono e s’incarnano in Cristo, Parola di Dio; da parte sua, perciò, non ci sono soltanto parole, per quanto di amore, ma una Parola realizzata, che ha trovato compimento; una Parola “illuminante” grazie alla quale è possibile superare lo scetticismo e uscire dalle tenebre dell’incredulità.

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