La resistenza dei migranti, «invisibili ma necessari»
26 agosto 2020
Martedì 25 nell'ambito degli eventi che si stanno svolgendo a Torre Pellice, l'incontro promosso da Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Fcei, e dalla Diaconia Valdese
La storia di Jerry Masslo, ucciso esattamente 31 anni fa, il 25 agosto del 1989, nel casertano, vittima del razzismo ed emblema della lotta contro il caporalato, simbolo delle lotte che arrivano fino ai giorni nostri, è riecheggiata più volte, ieri, a Torre Pellice. La vicenda di Masslo, profugo sudafricano, a cui furono negati diritti e dopo la cui morte però vi fu la prima, imponente, mobilitazione dei braccianti, con uno storico sciopero, è stata protagonista delle testimonianze dei relatori dell’incontro “Invisibili ma necessari”, promosso da Mediterranean Hope (MH), programma migranti e rifugiati della FCEI e dalla Diaconia Valdese.
Il dibattito, moderato da Paolo Naso, coordinatore di MH, si è svolto ieri pomeriggio, martedì 25 agosto, a Torre Pellice, nell’ambito della rassegna “Generazioni e rigenerazioni” che si svolge negli stessi luoghi e spazi del Sinodo valdese e metodista, che quest’anno, a causa delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, non si svolge regolarmente. In questa edizione “ridotta” e “concentrata” degli incontri protestanti, non poteva tuttavia mancare, come anche negli anni precedenti, un momento dedicato all’impegno delle chiese evangeliche per i diritti, in particolare per i diritti delle persone migranti.
Impegno che, dopo Scicli, Lampedusa e i corridoi umanitari dal Libano, la Federazione delle chiese protestanti ha portato, da un anno a questa parte, anche in Calabria, rivolgendo il proprio sguardo allo sfruttamento dei migranti in agricoltura, nella piana di Gioia Tauro. Sul ricorso dei braccianti stranieri è intervenuto uno dei maggiori esperti italiani, il sociologo Maurizio Ambrosini, definendolo “un fenomeno antico e persistente”, e lo “sfruttamento degli immigrati” come una dinamica che “non riguarda solo il mezzogiorno, ha a che fare con scarsi investimenti e arretratezza tecnologica, e spesso la condanna morale si ferma all’intermediazione – il caporalato – ma lascia indenni gli utilizzatori finali”. E contro i caporali, però, continuano ad opporsi pratiche virtuose di lotta, dal basso, da parte dei braccianti e di chi in qualche modo cerca di organizzarne e rappresentare la vertenza, i sindacati.
La locandina dell’incontro
Sul palco dell’incontro di ieri, proprio per raccontare questi aspetti della vita dei lavoratori in Calabria e al Sud, Celeste Logiacco, della Flai Cgil che opera nella Piana di Gioia Tauro. Un sindacato di strada che non riguarda solo il Mezzogiorno, come ha spiegato Alberto Revel della Cgil di Torino, facendo riferimento, ad esempio, a quanto accade nelle campagne di Saluzzo. Ed è a un altro sindacalista, forse il più importante, Giuseppe Di Vittorio, che si è rifatta anche la giornalista e scrittrice Sara Manisera, nel suo intervento, sulla scorta della sua esperienza come ricercatrice proprio nella zona di Rosarno, lanciando un appello affinché “diritti delle persone e dell’ambiente vadano difesi insieme”, con una nuova consapevolezza dei consumatori rispetto a come si produce il cibo. Di Vittorio, leader sindacale e politico, figlio di braccianti, uno dei primi a dare slancio a una lotta che, come ha spiegato Aboubakar Soumahoro, c’è sempre stata, fin dalla metà del secolo scorso, con migranti “invisibili ma necessari” che oggi sono solo diversi da quelli ugualmente sfruttati in quell’epoca.
Nel mezzo, in ogni caso, altri provvedimenti, ancora in vigore, come la Bossi-Fini, “da abolire”, come ha chiesto Francesco Piobbichi, uno degli operatori di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI, a Rosarno. Dell’impegno dei protestanti dalla parte dei lavoratori stranieri hanno parlato anche Ibrahim Diabate, operatore di MH sempre in Calabria (e poeta, già a sua volta bracciante) e il referente dell’inserimento lavorativo per la Diaconia Valdese, Nicola Salusso.
Perchè è dal lavoro, come ha spiegato il rappresentante della Diaconia, che si deve partire per garantire pieni diritti e dunque un’inclusione reale.