Giorgio Bouchard, la fede sostegno delle scelte
28 luglio 2020
Una vita di testimonianza all'interno e all'esterno delle chiese
Con Giorgio Bouchard è venuto meno un protagonista della vita e della storia recente non solo delle chiese valdesi e metodiste, ma anche una figura di spicco dell’evangelismo italiano. Forse, si potrebbe dire, aveva ereditato dal padre, fabbro, la forza e la determinazione di chi deve confrontarsi con la durezza del ferro e plasmarlo per farne strumenti utili al lavoro e dalla madre, che aveva avuto esperienze di lavoro all’estero, la capacità di dialogare con chi parla in una lingua diversa dalla tua.
Era un ragazzo quando visse il dramma della guerra e della lotta partigiana. Ogni mattina, per recarsi, a scuola passava davanti al luogo in cui i tedeschi avevano impiccato un partigiano di pochi anni più vecchio di lui. Ho l’impressione che queste e altre esperienze, oltre ovviamente all’educazione ricevuta dai suoi genitori, gli abbiano fatto comprendere che la vita è luogo di decisioni che non possono essere rimandate e di scelte che vanno fatte senza “se” e senza “ma”.
Laureato in Lettere, anziché dedicarsi all’insegnamento in un qualche liceo, scelse gli studi di Teologia perché si rese conto che in quegli anni di ricostruzione delle chiese dopo gli eventi bellici c’era bisogno di pastori. Alla Facoltà di Teologia di Roma ebbe, per ventura, come compagno di studi Sergio Aquilante, un metodista. Pare che le discussioni tra i due fossero un po’ animate e certamente non s’immaginavano che un giorno si sarebbe giunti a una profonda e proficua collaborazione tra le due chiese. I suoi studi proseguirono poi a Basilea dove, fra gli altri, insegnava Karl Barth. La formazione spirituale in una famiglia valdo-risvegliata, quella scientifica in una delle migliori università teologiche e il contatto con culture diverse gli hanno fornito gli strumenti per operare con intelligenza in un mondo che si ricostruiva dopo le tragedie della guerra.
Era ancora studente in Teologia quando la Tavola lo mandò per un paio di mesi a reggere la chiesa di Prali. Poi, consacrato nel Sinodo del ‘58, a andò Luserna S. Giovanni, come aiuto al pastore titolare; e qui s’incontrò con una realtà indubbiamente più problematica e complessa. Seguirono poi le chiese di Biella, Ivrea, Milano con cura anche di Cinisello Balsamo e infine Brescia. Il Sinodo del 1979 lo elesse moderatore della Tavola valdese. Terminato quell’incarico, fu per un settennio pastore a Napoli, nella chiesa di via dei Cimbri, con cura anche di Caivano e poi, infine, per un 3 anni a Torino con cura anche di Susa.
La sua formazione culturale e, indubbiamente, le sue doti intellettuali e la sua capacità di lavoro, lo resero capace di assumere importanti ruoli in una serie di Commissioni, tra cui primeggiano quelle nei rapporti con lo Stato (si pensi per esempio alle “Intese”, ma sono almeno una ventina!), e con le altre Chiese.
Ma, dietro al grande lavoro da lui svolto e alle responsabilità da lui assunte, sta non soltanto la sua intelligenza e la sua cultura, ma anche e soprattutto la sua fede. L’Ecclesiaste diceva: «getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molto tempo lo ritroverai...» (Eccl. 11, 1): similmente la predicazione dell’Evangelo non è mai fatta invano. E la predicazione non è solo qualcosa che viene fatta dal pulpito di una chiesa la domenica mattina, ma un impegno che riempie la vita di ogni giorno. In questo senso la sua non è stata solo una testimonianza rivolta ai pochi o ai molti che frequentano i locali di culto, ma alla città (in greco alla pòlis) nella quale vivi. In questo senso lui non si è rivolto solo alle chiese nelle quali ha servito, ma alla città, chiamandola alla libertà che dona l’Evangelo. Con la sua scomparsa dal mondo dei viventi, riconoscenti al Signore per quanto abbiamo avuto, la speranza è che altri prendano il testimone da lui lasciato.