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14 luglio 1938. L’inizio della fine dell’umanità

Sono passati ottantadue anni da quando il fascismo diffuse il suo vergognoso manifesto della razza

Il 14 luglio del 1938 il Giornale d’Italia pubblica «Il fascismo e i problemi della razza», più noto con il nome di «manifesto della razza», un assurdo documento che anticiperà di poche settimane la promulgazione della legislazione razziale – razzista – fascista (settembre-ottobre 1938). 

Quel vergognoso documento conteneva «i risultati» di ipotetici studi condotti da un gruppo di scienziati e di docenti universitari fascisti, per lo più poco noti, e nel quale si affermava che: «le razze umane esistono», che «esiste una pura razza italiana» e che «gli ebrei non appartengono alla razza italiana».

Nel primo Censimento speciale nazionale degli ebrei ad impostazione razzista del 22 agosto 1938 erano state censite 58.412 persone aventi per lo meno un genitore ebreo; di esse 46.656 ebree. 

Nel Consiglio dei ministri dell’1 e 2 settembre 1938 sarà poi approvato un primo numero di decreti antiebraici che conterranno, tra l’altro, provvedimenti immediati di espulsione degli ebrei dalla scuola. 

Seguiranno poi i provvedimenti di espulsione degli ebrei dagli impieghi pubblici e dalle libere professioni, limitazione del loro diritto di proprietà.

Nel settembre del 1943 partirà (nel silenzio complice di gran parte dell’italia) il primo convoglio di deportazione di ebrei, arrestati in Italia (da Merano) ad opera dei nazisti. 

Il 16 ottobre 1943 la polizia tedesca attua nel ghetto di Roma un terribile rastrellamento e due giorni dopo saranno deportate ad Auschwitz 1023 persone. Di queste, solo 17 resteranno in vita.

A ottant’anni dalle leggi razziste e fasciste, la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche – Ucei, Noemi Di Segni (era il luglio 2018) scriveva sul sito dell’Osservatorio sull’antisemitismo Cdec: «Con un’operazione realizzata sotto la regia di Benito Mussolini in persona, il regime cercava di accreditare i propri progetti persecutori e di negazione dell’Altro su un piano pseudoscientifico che ancora oggi, nel rileggerle, lascia increduli dinanzi alla folle aberrazione delle statuizioni e delle certezze affermate. Un’operazione che sarà premessa – nell’indifferenza di molti – alla successiva promulgazione delle Leggi antiebraiche, alla messa ai margini di una intera parte della cittadinanza italiana, alla persecuzione, alla deportazione, all’annientamento nei campi di sterminio. Leggi e provvedimenti amministrativi perfetti e formalmente rispondenti ad ogni crisma ma sostanzialmente vuoti di ogni principio e valore. Una ferita ancora viva, che riguarda non solo le comunità ebraiche ma una intero Paese e il suo sistema di valori. Una vicenda su cui però l’Italia non sembra aver riflettuto con la sufficiente consapevolezza, né fatte valere negli ottant’anni passati le responsabilità sul piano legale o politico».

Un anno prima, nel 2017, Riforma ricordava che la comunità scientifica afferma che, «al termine di decenni di sequenziamento di genomi, incluso quello umano, oggi è provato che gli umani presenti sul pianeta Terra condividono lo stesso genoma e che non vi sono differenze in qualità cognitive, morali o di altra natura fisica, riconducibili a una base genomico-deterministica».

In parole povere che «La scienza ci induce a condividere la celebre risposta, attribuita ad Albert Einstein, alla quale domanda, in merito alla razza cui appartenesse, disse: la razza umana. L’immagine scientifica del mondo esclude che si possa sensatamente e veridicamente parlare di una pluralità di razze per quanto riguarda gli animali umani», lo ricordava il professore dell’Università di Pavia, Carlo Alberto Redi che insieme ad alcuni scienziati italiani si era mobilitato per fornire una capillare opera d’informazione dei cittadini sulla inesistenza biologica delle razze e correggere l’Articolo 3 della nostra Costituzione nella parte in cui si fa riferimento alla «razza, quale causa di irragionevoli discriminazioni».

L’Articolo 3 che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Con il sostegno di molte istituzioni accademiche e di enti privati come la Fondazione Veronesi e la società Merck, medici, biologi, intellettuali, chiesero di superare, di cancellare la parola razza e per farlo fu indetta una raccolta di almeno 50.000 firme di cittadini per poter presentare, al Parlamento italiano, un apposito disegno di legge di revisione costituzionale. 

Oggi non possiamo far altro che ricordare quella pagina buia, triste e vergognosa (per tutti noi) della storia d’Italia. Un monito, affinché ciò che è stato non si ripeta mai più.

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