Regolarizzazioni, un’occasione persa?
08 maggio 2020
La politica discute della durata dei permessi per i lavoratori stranieri, ma per chi si occupa di lavoro e migrazioni il dibattito non è sufficiente né risolutivo
Non c’è ancora un accordo definitivo sulla proposta, avanzata nelle scorse settimane dalla ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, sulla regolarizzazione dei lavoratori stranieri irregolari sul territorio italiano. L’idea continua a essere quella di inserire il provvedimento nel “Decreto maggio”, che potrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri già sabato o domenica. «Non è più possibile tergiversare», diceva lunedì 4 maggio la ministra, capo-delegazione al governo per Italia Viva.
Attualmente in Italia sono presenti circa 600.000 persone senza permesso di soggiorno, e la richiesta della ministra Bellanova è che la regolarizzazione le coinvolga tutte, non solo in funzione del bisogno di manodopera per l’agricoltura, ma anche per estendere tutele, diritti, assistenza e controlli sanitari. «Sosteniamo la proposta con tutte le nostre forze - afferma Yvan Sagnet, fondatore della rete NoCap, che si occupa di contrasto al fenomeno di caporalato - non solo perché è una proposta di buonsenso, di civiltà. Purtroppo il tema della regolarizzazione viene affrontato ora per una questione di emergenza ma da decenni queste persone vivono in una condizione senza via d'uscita».
Dello stesso avviso è Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro. «Sarebbe auspicabile - spiega - perché abbiamo la necessità di far emergere la dimensione di irregolarità per alcuni motivi sostanziali. Il primo è la civiltà giuridica di un Paese, cioè partire dal fatto che le leggi sull'immigrazione che sono in Italia vi sono leggi che creano irregolarità e clandestinità, e quindi se vogliamo fare una discussione seria sul tema della regolarizzazione, dobbiamo affrontare il nodo vero della questione che è la Bossi-Fini e l'intero impianto della normativa in Italia perché crea clandestinità. Già semplicemente il fatto che dobbiamo discutere di regolarizzazione, sanatorie e quant'altro, vuol dire che le leggi che queste leggi in materia non funzionano e creano clandestinità e irregolarizzazione».
Finora la politica italiana sta ragionando su un provvedimento mirato, a carattere emergenziale e che non mette in discussione l’impianto esistente. In particolare, negli ultimi giorni si è andati sempre più verso proposte di breve periodo. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, che sta lavorando sul dossier insieme ad altri Ministeri, è d’accordo sulla necessità di un intervento, ma di dimensioni più ridotte. Per Lamorgese, infatti, la priorità sono i braccianti agricoli di cui c’è bisogno per assicurare la raccolta nei campi. «L'agricoltura italiana - spiega Sagnet - impegna circa un milione e 60 mila braccianti agricoli stranieri e italiani. Gli stranieri rappresentano il 40 per cento circa, circa 400 mila braccianti. In questo momento mancano all'appello 200 mila braccianti stranieri, per lo più rumeni e bulgari, che sono bloccati nel loro Paese per via del coronavirus, non possono recarsi in Italia perché le frontiere sono chiuse e questo sta mettendo a rischio le grandi raccolte, a partire dall'ortofrutta, gli ortaggi, il pomodoro. Il cibo rischia di non arrivare a casa, i supermercati rischiano di non essere riforniti perché mancano le persone che raccolgono la frutta. Poi c'è una parte dei lavoratori italiani, i braccianti italiani, che non si recano nemmeno nei luoghi di lavoro perché hanno paura di essere contagiati. Quindi questo crea un grosso problema».
Tra le ragioni di questa regolarizzazione, secondo la ministra Bellanova, anche il contrasto al caporalato, uno dei grandi rimossi della filiera agroalimentare italiana, un fenomeno che, nonostante leggi all’avanguardia, non è mai entrato in crisi. I caporali, o meglio, il sistema del caporalato, trova terreno fertile proprio tra i soggetti più vulnerabili, che possono essere facilmente ricattati perché non hanno scelta. «Se noi regolarizziamo questi migranti - spiega ancora Yvan Sagnet - riusciamo a sottrarli al potere dei caporali, che non avranno più quelle braccia da sfruttare. Non solo loro, ma la criminalità organizzata. E sarà anche un bene per le stesse aziende agricole, che subiscono un ricatto da parte di questi caporali: non avendo scelta, per un problema organizzativo, perché i centri per l'impiego non funzionano, sono costrette a rivolgersi a loro»
In questo momento la discussione in seno alla maggioranza ruota intorno ad alcuni punti-chiave, molto orientati comunque sull’appartenenza politica. Il Movimento 5 Stelle è diviso, e un recente articolo sul Blog delle Stelle ha voluto prendere le distanze da ipotesi di sanatoria. Per contro, le associazioni del settore agricolo, così come i sindacati e diverse altre organizzazioni, chiedono da tempo una misura di regolarizzazione prima che la stagione della raccolta sia terminata.
L’opposizione, guidata da Lega e Fratelli d’Italia, parla invece di “schiaffo agli italiani e agli stranieri onesti”. Eppure, il tema della sanatoria non è un tema nuovo in questo paese, visto che le ultime tre regolarizzazioni vennero state attuate dai governi di centro-destra guidati da Berlusconi, come avvenne nel 2009 con il leghista Roberto Maroni nel ruolo di ministro dell’Interno.
Le misure allo studio prevedono due canali di regolarizzazione. Il primo, quello più tradizionale, è la richiesta del datore di lavoro, attivando un contratto e versando un contributo allo Stato. Al cittadino straniero in quel caso verrebbbe accordato un permesso di soggiorno valido per la durata del contratto, rinnovabile in caso di nuovi rapporti di lavoro. Il secondo canale è quello degli stagionali che hanno perso il lavoro o a cui è scaduto il contratto e che potranno avere un permesso temporaneo per ricerca lavoro. Ma di quale durata? Il Partito Democratico, Liberi e Uguali e Italia Viva chiedevano che i permessi durassero sei mesi, con possibilità di rinnovo. La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, del Movimento 5 Stelle, ha invece proposto permessi della durata di un mese, mentre per la ministra degli Interni Lamorgese la durata ideale è di tre mesi. Ma questo scontro sui numeri rischia seriamente di far perdere di vista il tema centrale, ovvero la connessione tra lavoro e diritto a vivere su un territorio.
L’Asgi, Associazione studi giuridici per l’immigrazione, aveva inviato giorni fa al governo e ai ministeri una proposta di regolarizzazione, sottoscritta da centinaia di persone e associazioni, in cui sottolineava l'importanza di una regolarizzazione non per settori e con un permesso per “ricerca occupazione” di durata annuale e convertibile alla scadenza, scollegando quindi la regolarizzazione dal contratto di lavoro. «La nostra proposta - spiega il presidente dell’Asgi, Lorenzo Trucco - risponde al duplice obiettivo di garantire la tutela della salute collettiva, possibile se tutte le persone che vivono in Italia hanno accesso al Servizio Sanitario Nazionale e sono giuridicamente visibili, così da potere accedere al monitoraggio sanitario che verosimilmente verrà attuato nelle prossime settimane, per garantire la salute collettiva, e per riconoscere dignità alle centinaia di migliaia di persone straniere che, prive di permesso di soggiorno per lavoro, sono esposte a maggiori rischi di sfruttamento e di emarginazione sociale». Finora, tuttavia, questo livello della discussione sembra lontano. «Ritengo - afferma Piobbichi - che ragionare in termini di utilità, come se queste persone le accettiamo solo se sono utili, mentre se sono inutili non si capisce che fine facciano, sia molto rischioso. Quello sulla regolarizzazione della forza lavoro è un discorso viziato da una norma di fondo che riguarda l'intero impianto europeo, cioè che sostanzialmente si considerano i migranti come braccia e non come persone».
Certo, si potrebbe obiettare, come si sente ripetere in questi giorni, che la situazione di partenza sia così disastrosa che qualsiasi elemento si ottenga rappresenti un avanzamento. Questo è vero soprattutto in relazione alla questione lavorativa in senso stretto, perché si può immaginare che una condizione di regolarità possa minare un pezzo del ricatto a cui i lavoratori strenieri sono sottoposti, ovvero il rischio di essere espulsi, che spesso conduce alla paura di denunciare e di far valere i propri diritti. Eppure, se consideriamo i lavoratori stranieri come persone, prima che come lavoratori, la situazione non cambia. «c'è la doverosa necessità anche da parte dei legislatori - sottolinea Francesco Piobbichi - di considerare il tema della salute pubblica. Il tema del Covid-19 è completamente espunto da questo dibattito, si preferisce lasciare la gente nei ghetti, perché questa gente rimarrà nei ghetti, continuerà a rimanere nei ghetti, rischiando di prendersi il virus molto spesso in regioni come la Calabria, la Puglia, la Campania, che hanno un sistema sanitario molto debole. A noi tremano i polsi quando ogni tanto fanno un tampone a un ragazzo della tendopoli di San Ferdinando che ha la febbre, perché abbiamo la paura che questo ragazzo può avere il Covid-19, se entra il Covid-19 in quei luoghi, che noi diciamo che devono essere smontati, che noi diciamo che devono essere pensati in un'altra maniera. Se centinaia di braccianti prendono il Covid-19 perché è impossibile il distanziamento fisico, che impatto hanno sulla tutela della salute pubblica calabrese dove ci sono poche decine di ventilatori? Le misure che si propongono sono un'occasione persa- perché fra qualche mese saremo di nuovo in questa condizione».
Come raccontato dall’Agenzia Stampa Nev giovedì 7 maggio, la campagna Ero straniero, alla quale aderisce anche la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, è intervenuta definendo “uno spettacolo imbarazzante e ridicolo” quello a cui sta assistendo, “se non fosse che in gioco c’è il destino di centinaia di migliaia di persone già presenti in Italia e costrette da tempo all’invisibilità e a dover subire sulla propria pelle i ricatti che inevitabilmente la condizione di soggiorno irregolare comporta”.
«È una questione di civiltà», conclude Yvan Sagnet. «Abbiamo chiesto un atto di coraggio a tutte le parti politiche, chi non ha coraggio di assumersi le proprie responsabilità in qualche modo si rende responsabile del ricatto della criminalità organizzata, del caporalato verso queste persone. Non è possibile avere oggi persone di serie A e persone di serie B».