Restiamo a casa. Ma se la casa è un luogo insicuro?
23 marzo 2020
Obbligate a rimanere a casa, il luogo per molte donne meno sicuro. L' 85% dei casi di violenza avviene in famiglia. Serve dare voce e tutelare chi voce e tutele e non ha
Restiamo a casa. Questo è il mantra che ormai risuona dentro di noi, nei telegiornali, nelle nostre pagine social e a corredo delle ordinanze che intendono proteggere la popolazione dal contagio e dalla morte per coronavirus.
Un vecchio slogan, ancora valido, recita invece «l’assassino ha le chiavi di casa». Si riferisce a quelle situazioni in cui uomini violenti (mariti, fidanzati, ma a volte anche padri o figli) aggrediscono, umiliano, picchiano, uccidono le loro mogli, fidanzate, figlie e madri. Nel 2018 sono morte 142 donne per femminicidio. In media una donna ogni tre giorni viene uccisa. L’85% dei casi avviene in famiglia.
Per le donne la casa può essere il luogo della loro morte violenta. O del loro stupro. O della loro umiliazione, fisica, psicologica, economica. Per quelle donne, le ordinanze per l’emergenza Coronavirus possono essere fatali. Mancano programmi specifici di protezione, servono fondi per i Centri antiviolenza, serve una rivoluzione culturale, invocata da decenni dalle diverse espressioni del femminismo e da quelle esperienze, ancora purtroppo troppo poche e poco visibili, di presa di coscienza dei maschi sul problema.
È troppo presto per fare il conto dei femminicidi durante il Coronavirus, e vorremmo non doverlo proprio fare questo conto. Ma sui social hanno iniziato a girare, fin dai primi giorni di blocco totale, simpatiche vignette in cui si chiedeva agli avvocati matrimonialisti di prepararsi a un’impennata di divorzi non appena l’emergenza Coronavirus sarà finita. Speriamo di non dover dire la stessa cosa agli avvocati penalisti.
Ed è per contrastare in tutti i modi il silenzio su questo tema e per mantenere alta la guardia delle donne, della società, delle istituzioni e in particolare delle chiese, che la Federazione delle donne evangeliche in Italia (Fdei) ha diramato un comunicato.
Serve tutelare le donne vittime di violenza a cui è imposto di “restare a casa”. Serve divulgare la voce, la possibilità di una via d’uscita per coloro la cui casa non è un rifugio, ma un luogo pericoloso. Al comunicato della Fdei si accompagna anche un riadattamento del salmo 31, come invito alla preghiera, alla speranza, ma soprattutto alla consapevolezza, che è il primo passo per uscire dalla violenza, che pubblichiamo di seguito.
Salmo 31
Abbi pietà di me, o Dio, perché sono tribolata, restare a casa non è una sicurezza.
L’occhio mio, l’anima mia, le mie viscere si consumano di dolore.
La mia vita vien meno per l’affanno,
i miei anni svaniscono nel pianto;
Sono costretta a restare a casa, soffro a motivo di una convivenza forzata e
la forza m’è venuta a mancare per la mia afflizione,
si logorano tutte le mie ossa.
Abbi pietà di me, o Dio, perché sono tribolata, restare a casa non è una sicurezza.
Sono isolata con un uomo violento, nulla è cambiato,
il coronavirus non ha fermato la violenza, dal mio nemico sono diventata obbrobrio,
la pandemia ha favorito in me aggressioni e violenza tra le mura domestiche.
Abbi pietà di me, o Dio, perché sono tribolata, restare a casa non è una sicurezza.
Ma io confido in te, o Dio;
io ho detto: «Tu sei il mio Dio».
I miei giorni sono nelle tue mani;
liberami dalla mano del mio nemico e del mio persecutore.