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La confessione di fede di Accra

Nel 2004 ad Accra le chiese riformate, di fronte all’emergenza economica ed ecologica, accantonarono l’idea dello “status confessionis”, ed elaborarono una confessione di fede che è datata, ma non superata

Dopo l'articolo del pastore Bruno Gabrielli e dopo il testo del Documento di Bangkok, proseguiamo la riflessione sullo “status confessionis” con l'intervento del pastore Claudio Pasquet sulla «Confessione di fede» redatta all'Assemblea di Accra (2004) da parte dell'allora Alleanza riformata mondiale (oggi Comunione mondiale di Chiese riformate). La forma della Confessione di fede sembrò infatti preferibile rispetto all'idea di “status confessionis”. 

L’Alleanza Riformata ha voluto usare lo strumento della Confessione di fede di fronte all’emergenza economica ed ecologica. Confessione che è stata varata dalla Assemblea generale della Alleanza Riformata Mondiale, tenutasi ad Accra in Ghana nel 2004. Nello stesso anno il Sinodo valdese l’ha accettata come riferimento. Quando, nel 2010, l’Alleanza riformata mondiale si unì al Consiglio ecumenico riformato dando vita alla Comunione mondiale delle Chiese riformate, la Confessione venne accettata come sua dichiarazione di fede.

Come si arrivò alla Confessione? Si era partiti dalla richiesta di un convegno di rappresentanti di chiese africane tenutosi a Kittwe nel 1994 che, di fronte alle emergenze ecologiche, economiche e sociali, aveva chiesto che si ponesse lo “status confessionis” di fronte a quanti si ostinavano a rifiutare di mettere in discussione i progetti di sviluppo basati soprattutto sullo sfruttamento dell'essere umano e del creato. Ma come attuare praticamente tale richiesta? Era parso impossibile definire dove si annidava veramente il male e in che modo anche noi non ne fossimo, sia pur a livelli diversi, complici consapevoli o inconsapevoli.

Vi era l'esigenza di chiarire teologicamente i termini del problema. Ecco quindi che, da molti dibattiti, sorse l'idea di iniziare un processo di riflessione biblica e teologica che portasse a definire chiaramente i termini della questione in rapporto con la fede. Si cominciò a riflettere sulla necessità di una Confessione di fede e, accantonando l'idea dello “status confessionis”, si iniziò a parlare di un “processus confessionis”. Questo processo diede i suoi frutti, insperati, portando i delegati ad Accra ad accettare, quasi all’unanimità, la Confessione che ha per titolo Per la giustizia economica ed ecologica un patto in via di realizzazione (Covenanting for Justice in the Economy and the Earth).

Questa Confessione è datata, ma non superata. Allora muoveva le sue affermazioni a partire da due punti squisitamente teologici. Il primo era legato al rispetto della creazione, riconoscendo la signoria di Dio su di essa, opponendosi quindi a chi la considerava un bene strumentale totalmente a disposizione dell'essere umano e delle sue ingordigie. Il secondo si opponeva al neoliberismo che si presentava al mondo come l'unico sistema di salvezza economico per il genere umano. Mentre scriviamo dal vertice di Davos arriva la notizia che nel mondo ventimila persone posseggono una ricchezza superiore a quella detenuta da 4 miliardi e mezzo di esseri umani. Possiamo dirlo: il sistema economico neoliberista non ha risolto nulla, anzi! Ma la critica principale che la Confessione faceva ad esso era quella dell’idolatria: un sistema umano che si presenta come portatore di salvezza, qualunque esso sia, entra in conflitto con la signoria di Dio.

Concludo riportando quanto scrivevo 15 anni fa presentando il documento:

«Se il mondo ormai predica che la sua salvezza passa solo attraverso la crescita economica senza freni e limiti, senza badare alla situazione sociale, a chi muore perché non può pagarsi le cure mediche, o a chi vive e vivrà sempre di precariato, oppure senza badare alla inarrestabile distruzione dell’ambiente nel nome del dio profitto, è questa solo questione di etica o siamo alle basi vere e profonde della fede? Dopo intensi e sofferti dibattiti, dove abbiamo visto e sentito lo Spirito Santo agire, i calvinisti di oggi, quasi all’unanimità, hanno accettato, di correre questo rischio teologico affermando: questa predicazione è contraria alla predicazione evangelica». 

Venendo alla richiesta di porre lo “status confessionis” espressa con queste parole «Resistere alle culture della discriminazione, dell’autoritarismo e del nazionalismo, abbiamo riconosciuto e testimoniato di una crescente tendenza mondiale verso il razzismo, il nazionalismo e l’autoritarismo (in Bangkok, Tailandia, dicembre 2018)», credo che buona parte di ciò che viene denunciato, fosse già presente nel documento di Accra. Riprendiamo a studiarlo e a citarlo, ma in realtà lo abbiamo già applicato quando abbiamo pensato ai corridoi umanitari, all'accoglienza, alle nuove povertà. Accludo in calce alcun i articoli della Confessione che trovo ancor oggi attualissimi. Serve davvero una nuova presa di posizione? Non lo so, ne discuteremo in maggi alla prossima riunione del comitato esecutivo della Comunione mondiale delle Chiese riformate.

 

Dal documento di Accra

18. Crediamo che Dio è sovrano su tutta la creazione. «Al Signore appartiene la terra e tutto quanto è in essa» (Sal. 24, 1).

22. Crediamo che qualsiasi economia della comunità (household) di vita che ci è data dal patto di Dio al fine di sostenere la vita deve render conto a Dio. Crediamo che l’economia esiste per essere al servizio della dignità e del benessere della convivenza umana, all’interno dei limiti di ciò che il creato può sostenere. Crediamo che gli esseri umani sono chiamati a scegliere tra Dio e Mammona e che la confessione della nostra fede è un atto di ubbidienza.

23. Perciò noi rifiutiamo l’accumulazione della ricchezza senza regole e lo sviluppo illimitato che ha già pagato il prezzo della vita di milioni di esseri umani e ha distrutto tanta parte della creazione di Dio.

26. Crediamo che Dio ci chiama a prendere le difese di coloro che sono vittime dell’ingiustizia. Sappiamo cosa il Signore ci richiede: praticare la giustizia, amare la misericordia e camminare nella via di Dio (Michea 6, 8). Siamo chiamati ad opporci a ogni forma di ingiustizia in campo economico e di distruzione dell’ambiente, così che «scorra il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne» (Amos 5, 24).

27. Per questo noi rifiutiamo ogni teologia che affermi che Dio è solo con i ricchi e che la povertà è la colpa dei poveri. Rifiutiamo ogni forma di ingiustizia che distrugge giusti rapporti a causa di discriminazioni di genere,di razza, di classe, di disabilità, o di casta. Rifiutiamo ogni teologia che affermi la prevalenza degli interessi umani a detrimento della natura.

34. Confessiamo umilmente questa speranza, sapendo che noi pure siamo sotto il giudizio della giustizia di Dio. Riconosciamo la complicità e la colpa di coloro che consapevolmente o inconsciamente traggono beneficio dall’attuale sistema economico della globalizzazione neoliberista; riconosciamo che ciò include sia chiese sia membri della nostra famiglia riformata e di conseguenza facciamo appello per una confessione di peccato. Riconosciamo che ci siamo lasciati conquistare dalla cultura del consumismo e dalla competitività egoista e avida dell’attuale sistema economico e che questo troppo spesso ha permeato la nostra stessa spiritualità. Confessiamo il nostro peccato nell’aver abusato della creazione e nell’aver mancato di svolgere il nostro ruolo di intendenti (stewart) e di amici della natura. Confessiamo come nostro peccato la mancanza di unità all’interno della famiglia riformata, ciò che ha diminuito la nostra capacità di essere pienamente al servizio della missione di Dio.

35. Crediamo, in obbedienza a Gesù Cristo, che la chiesa è chiamata a confessare la fede, testimoniare e agire anche se le autorità e la legge degli uomini lo proibiscano e anche se ne dovesse così derivare punizione e sofferenza (Atti 4, 18ss.). Gesù è il Signore.

 

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