La casa per le donne Lucha y siesta verso lo sgombero
27 febbraio 2020
Il Comune di Roma vorrebbe sgomberare e chiudere il centro antiviolenza, mentre attiviste e cittadinanza istituiscono un presidio permanente per mantenerlo attivo
A Roma nel quartiere Tuscolano c’è un luogo fisico e simbolico centrale per la lotta alla violenza contro le donne. “Un esperimento innovativo e riuscito”, si legge sul sito di Lucha y siesta, casa rifugio, casa di semiautonomia e centro antiviolenza insieme. Uno spazio aperto e partecipato anche dalla cittadinanza.
A settembre 2019 qualcosa è cambiato. Sulla struttura, di proprietà dell’Atac (azienda di trasporto locale) ha iniziato a incombere una parola: sgombero. Il tribunale fallimentare aveva comunicato che l’edificio sarebbe stato messo all’asta, e il Comune di Roma ha iniziato la sua battaglia per accelerare le procedure. Sin dal primo momento è iniziata la mobilitazione da parte delle attiviste: l’obiettivo era la raccolta di fondi per l’acquisto dell’intero immobile in cui ha sede il centro antiviolenza. Il 21 dicembre 2019 il consiglio regionale del Lazio ha poi approvato lo stanziamento di un fondo da 2,4 milioni di euro per salvare Lucha y siesta.
Eppure il 25 febbraio operatori Acea (azienda romana per la distribuzione di energia elettrica e gas) si sono presentati al centro per operare il distacco delle utenze. L’amministrazione comunale di Roma mira ancora alla chiusura e «l’accelerazione da dicembre è stata feroce per cercare di disgregare questa esperienza», racconta Chiara Franceschini, operatrice di Lucha y siesta. Da quella mattina le operatrici e le attiviste insieme ai cittadini del quartiere sono in mobilitazione: un presidio a cui è seguita un’assemblea molto partecipata. Questo ha impedito, per ora, il distacco delle utenze, ma la strada verso una conclusione di questa vicenda sembra ancora lunga e incerta.
«Abbiamo vissuto notevole periodo di violenza psicologica continua, perché mentre noi affermiamo la complessità e la necessità di tempo per uscire da percorsi di violenza, il Comune di Roma andava in direzione opposta con accanimento inaudito», spiega Franceschini.
A confrontarsi sono innanzitutto due letture diverse del centro antiviolenza. Da un lato c’è chi in Lucha y siesta vede un luogo di accoglienza, di ospitalità ma anche di cultura, un presidio sociale che è erede delle lotte femministe e che vuole ridisegnare immaginari e orizzonti per le donne vittime di violenza. Dall’altro il Campidoglio pone l’attenzione esclusivamente sull’aspetto residenziale della struttura. Lo stesso lessico usato dall’Amministrazione nelle richieste di sgombero è esemplificativo: verbi come “sistemare” o “ricollocare” le donne indicano una riduzione del percorso di uscita dalla violenza a una mera questione abitativa. E ciò implica che non si riconosca la capacità del centro di creare comunità in risposta all’isolamento a cui porta la violenza.
La regione Lazio ha reso nota la sua partecipazione all’asta per la struttura, che avrà luogo il 7 aprile. Fino a quel momento continuerà il presidio permanente e la mobilitazione di chi vive e partecipa la realtà di Lucha y siesta.