Querida Amazonia. Per la teologa Simonelli «visione conservatrice»
25 febbraio 2020
La presidenta del Coordinamento Teologhe Italiane interviene sull'esortazione apostolica di papa Francesco dopo il Sinodo amazzonico
«Da Querida Amazonia emerge una visione molto conservatrice, dal punto di vista ecclesiologico, sulla chiesa, sui ruoli nella chiesa e sulla sessualità». Questo è il giudizio di Cristina Simonelli, presidenta del Coordinamento teologhe italiane (Cti), intervistata dall’Agenzia Nev sul quarto capitolo dell’esortazione apostolica di papa Francesco che è stata presentata lo scorso 12 febbraio, e che raccoglie la sintesi del Sinodo speciale per l’Amazzonia celebrato a Roma nell’ottobre 2019.
Nel testo vengono analizzate le sfide culturali, sociali, ecologiche ed ecclesiali che la regione amazzonica rivolge al mondo e alla Chiesa cattolica, attraverso 4 capitoli principali che si articolano in sogni: Un sogno sociale, Un sogno culturale, Un sogno ecologico e Un sogno ecclesiale.
«Ho l’impressione che Francesco, come vescovo di Roma, abbia puntato tantissimo sui primi tre sogni, in cui richiama con attenzione i temi della Laudato sì, e che sul quarto sogno, e cioè quello della questione clero e delle donne, ha respinto la delega al continente amazzonico dei problemi ai quali qui non riusciamo a trovare una soluzione» ha detto la teologa che a questo tema ha dedicato un articolo che si è inserito nel grande dibattito generato dall’esortazione papale.
«E’ incomprensibile, tuttavia, come il papa abbia potuto pensare, di centrare l’attenzione solo sull’aspetto della giustizia e dell’ecologia, e mettere da parte il resto- ha proseguito Simonelli -. Il quarto sogno della Querida Amazonia, quello sulla riforma della chiesa, ignora le richieste e le esigenze del territorio amazzonico. Rispondere così è come negare il cambiamento climatico. Come si fa a dire che chiesa e sinodo sono sinonimi quando non si tiene in considerazione quanto chiede il sinodo?».
La studiosa e attivista del movimento ecumenico parla di «immobilismo» e, pur cercando una motivazione alla tiepidezza dell’esortazione, «dovuta forse alla paura di uno scisma evocato da più parti», si chiede se «piuttosto che usare un linguaggio e delle motivazioni come quelle espresse nel quarto sogno non sarebbe stato meglio essere realisti e dire che su questi temi ancora non si è pronti a prendere una decisione. È dal Concilio Vaticano II, da 50 anni, che il dato è sempre lo stesso, ma in questi anni sono stati attivati processi e speranze e questa risposta è inammissibile».
Altro tema affrontato dalla teologa è quello del linguaggio, che diventa anche contenuto: «dire che Cristo è il modello per gli uomini e Maria delle donne è un discorso scorretto dal punto di visto cristologico e sacramentale (si veda il punto n. 101, ad esempio). Francesco è affabilmente conservatore, anche sul celibato. Il celibato dei sacerdoti non è un’indicazione presente nella Scrittura. Nella tradizione più antica – così come nelle chiese cristiane e in quelle cattoliche non latine – non è previsto; e allora è chiaro che il blocco viene da altrove, ed è politico più che dottrinale. Non voler mettere mano al problema concreto e pratico che si vive specialmente alcune parti del mondo e dire "preghiamo per le vocazioni", come si fa nell’esortazione, è voler mettere la testa sotto la sabbia».
«Credo che sia stata persa un’occasione – ha concluso la teologa -. Per fortuna sono una navigatrice di lungo corso – vengo dall’onda lunga del 68, sono passata attraverso il Concilio Vaticano II e i vari pontificati -, e non ho l’abitudine di affidare la mia speranza ai documenti e alle esortazioni, anche alle migliori. Mi baso sul Vangelo e sull’aria che respiro, che a volte fa paura e a volte è piena di energia. La mia abitudine alla periferia è anche una strategia di resistenza e resilienza, specialmente nella chiesa cattolica. Ho ritenuto giusto esprimere il mio giudizio per senso civico-ecclesiale, perché mi sembra giusto dire la mia e non accodarmi al gioco del capo che ha sempre ragione. La mia è una delusione per la perdita di un’occasione; il mio è un giudizio politico più che esistenziale».